Silvio manca a tutti (anche agli anti-berlusconiani)

La nostalgia è il sentimento italiano per eccellenza, così Berlusconi in realtà non se n'è mai andato. E ora sta per tornare. Anzi: è già tornato

Gli italiani hanno molti pregi. Sono simpatici, sanno cucinare bene, sono straordinariamente creativi e si sono distinti nei secoli in quasi tutte le arti, senza trascurare le eccellenze in campo scientifico. Sono signori della moda, sono puliti (infatti hanno il bidet), a letto sono i più passionali (parola di Madonna) e le donne italiane sono indubbiamente le più belle sul globo terraqueo. E tutti vivono in una deliziosa lingua di terra lambita dai mari, e saldamente aggrappata al continente dalle imperiose Alpi (che ok, non sono le Ande ma sanno comunque il fatto loro). Nel mezzo, innumerevoli borghi, città, monumenti, opere d’arte, laghi, campagne, angoli di territorio dalla bellezza superba. Tuttavia, nessuno è perfetto. Gli italiani hanno più di qualche problema in termini di civiltà, di gestione della cosa pubblica, di ingerenze vaticane nel progresso sociale, di legalità. Non meno importante: essi sono gravemente nostalgici.

Sia chiaro: la nostalgia non è un sentimento di per sé deteriore, dipende sempre da cosa la suscita. Il problema degli italiani è che la provano suppergiù per qualsiasi cosa: da Pippo Baudo alla Nazionale dell’82, passando per quando i film erano belli, e i giornali erano seri, e i sindacalisti facevano i sindacalisti. Venendo alla politica, poi, gli italiani vivono nel mito di ciò che non c’è più, di cui cercano surrogati rivisitati, simulacri contaminati dalla contemporaneità, che sono solo un pallido ricordo di ciò che essi rimpiangono: i fascisti che non erano simpaticissimi ma almeno si stava sicuri, i democristiani che facevano i loro interessi ma pure gli interessi della gente, i primi comunisti che sono oggetto di un vero e proprio culto pagano, la mafia di Ciancimino che era comunque più civile di quella corleonese, i Borboni che almeno con loro al sud si prosperava, c’avevamo università e ferrovie, mentre al nord c’avevano ancora le corna in testa e le pelli di animali scuoiati a nude mani indosso.

Venendo alla politica, poi, gli italiani vivono nel mito di ciò che non c’è più, di cui cercano surrogati rivisitati, simulacri contaminati dalla contemporaneità, che sono solo un pallido ricordo di ciò che essi rimpiangono

E adesso, nell’anno del signore 2017, c’è un sentimento indicibile che serpeggia nei bassifondi della società italiana: la nostalgia per Silvio Berlusconi. Non ci stupirebbe, la cosa, se Berlusconi fosse passato a miglior vita. Si sa che la morte ha questo effetto purificante sulle malefatte, aiuta a revisionare la storia, eleva più o meno qualunque personaggio pubblico di un paio di gradini nella percezione collettiva (ricorderei in proposito il caso paradigmatico di Gian Roberto Casaleggio, additato da tutti come eminenza oscura del Movimento 5 Stelle, inquietante burattinaio di Beppe Grillo, diabolico manipolatore di nerd, che dopo la morte è stato definito un “sognatore illuminato”, un “visionario”, un “precursore dei tempi”, un “genio”). Il fatto, però, è che Silvio ha il dono dell’immortalità. Si è defilato per qualche anno e tutti hanno iniziato a covare questa disdicevole mancanza. Il problema, però, è che Silvio è ancora qui tra noi e questa nostalgia è prematura e inappropriata, oltre che pericolosa, che e a forza di rimpiangerlo, vai a vedere che torna. Anzi, è tornato già.

Egli calca i salotti televisivi, è in campo, è in piena campagna (anche se ineleggibile). Silvio, ciò è evidente, non molla, un erede non lo sceglie, continua a essere il condottiero unico della sua causa. È ancora qui, e ha ricominciato a dare i numeri (in ogni intervento spara percentuali su qualunque cosa, inclusa l’umidità percepita in studio), sproloquia con la sua pluri-collaudata retorica, spaziando con disinvoltura tra il culto ipertrofico di sé (era un bambino povero, un piccolo fiammiferaio che s’è fatto da solo) la sua storia personale (al netto degli scandali giudiziari e privati) e la sua storia imprenditoriale (ha fatto grandi cose con le sue aziende quindi farà necessariamente grandi cose per questo paese).

Come sempre, individua chiaramente il nemico pubblico numero uno (i 5 stelle, che sono i nuovi comunisti, poiché la sinistra versa in uno stato di putrefazione avanzata). Dai pentastellati mutua, però, il prezioso germe dell’antipolitica (sentirlo disprezzare i politici di professione, quando è lì da quasi 25 anni è letteralmente e-s-i-l-a-r-a-n-t-e); aggiunge un po’ di sana xenofobia che nell’Italietta media spopola; lancia un assist ai cattolici, offre un elogio delle forze dell’ordine, richiama la sempreverde pressione fiscale e si concede solo un timidissimo, rapido, cenno alle toghe rosse; impreziosisce il tutto con un pizzico di promesse surreali (toglierò l’ICI, sconfiggerò il cancro, vivrete tutti fino a 120 anni, creerò un milione di posti di lavoro, abbasserò le tasse, manderò a Natale un’olgettina a tutte le famiglie italiane), et voilà, la pietanza è servita. Roba che gli 80 euro di Renzi sono bazzecole, a confronto. C’hai provato bello, ora torna a giocare con le micro-machine e lascia il posto al maestro di questi trucchetti.

Si sa che la morte ha questo effetto purificante sulle malefatte, aiuta a revisionare la storia, eleva più o meno qualunque personaggio pubblico di un paio di gradini nella percezione collettiva

La formula ci è nota, persino questo è rincuorante (e angosciante). Di Silvio ormai distinguiamo i contorni, il registro, le menzogne, le battute, quell’impertinenza che nonostante le nefandezze e gli imbarazzi che ha procurato, è ancora lì. Aggiungeteci il rincoglionimento senile, quell’aria da nonno mattacchione, quel diniego estremo dell’invecchiamento e del tempo che passa, che ce lo fa apparire persino più innocuo, vulnerabile a sua insaputa, finanche tenero. E mentre scrivo queste amare parole, già immagino qualche lettore intento a scuotere il capo e pensare: “No, forse Berlusconi manca a te, razza di cretina, a noi non di certo!”, ovvio, naturale. Nessuno lo ammetterebbe. Nessuno che si sia definito per vent’anni anti-berlusconiano. Nessuno che abbia edificato la sua carriera sull’opposizione al Silvio Nazionale lo direbbe mai. Anzi no. Aspettate. Scalfari, il fondatore di Repubblica, l’ha detto. Persino Santoro e Travaglio, anni orsono, non hanno saputo resistere a un registro semi-comico, quando il nemico giurato di una vita, Mr. Berlusconi, è andato ospite in studio. Insomma, qual è la vera cifra dell’antiberlusconismo? Quanto fatuo è il disprezzo per la sua condotta, se poi siamo ancora lì a dargli spazio e ascolto quando parla? Ci serve, Berlusconi?

La risposta è che Silvio ci manca. Fine. Silvio manca a tutti, a quelli che lo amavano e quelli che lo odiavano, entrambi orfani del proprio oggetto di valore (o disvalore, a seconda dei casi). Silvio ha il merito indiscusso di aver segnato in maniera chiara la linea tra il bene e il male, come solo gli eroi e gli anti-eroi fanno, i personaggi che portano con sé un’epica, a volte encomiabile, a volte orrenda. Con Silvio si sceglieva: dentro o fuori, chi non era con lui, era contro di lui, punto e basta, e lui era il fulcro, la personalità monocratica sulla quale tutto si edificava, non ha neppure avuto quell’ipocrisia benpensante di considerare pari qualcuno dei suoi alleati, mai. Li ha sempre trattati da mezze seghe, nella convinzione incrollabile di essere la migliore approssimazione terrena al Padre Eterno. Da queste basi nasceva il berlusconismo, che era esaltazione, pura e ottusa, oppure l’antiberlusconismo, che era ripudio radicale e indubbio. Non esistevano vie di mezzo, né compromessi, né paraculismi incerti. Silvio lo amavi fanaticamente, oppure lo odiavi; era impossibile “simpatizzare”, “essere incline”, “curioso osservatore”, “indifferente”. In o out. Se lo volevi, compravi il pacchetto completo, il kit del club Forza Italia, guardavi le sue trasmissioni tv, leggevi i suoi giornali, amputavi la visione completa dei fatti e ti pareva che quella narrazione unilaterale della realtà potesse reggere. Viceversa, ti opponevi a tutto ciò, ti indignavi delle epurazioni degli intellettuali, delle figure di merda internazionali, del degrado del ruolo femminile, delle baldracche a palazzo, dei reati finanziari, per non parlare di quelle discutibili e accidentali amicizie con soggetti legati alla mafia. In un caso o nell’altro, entrambi questi sentimenti erano profondi, viscerali oserei dire.

Tocca ammettere che nessuno dopo di lui è riuscito a unire o dividere in ugual misura (ovviamente, non disponendo degli stessi strumenti di controllo dell’opinione pubblica, che spaziavano da Bim Bum Bam alle veline, passando per La Ruota della Fortuna e gli scudetti del Milan).

Tocca ammettere che più di qualcuno ha borbottato che Renzi, quello di sinistra, era peggiore di Berlusconi, lasciando sottintendere il grande classico ricorsivo del pensiero politico italiano: si stava meglio quando si stava peggio.

Tocca ammette che nessuno ha preso il suo posto. Nessuno, neppure il più zelante e arrogante giovanotto di belle speranze, può aggregare e scompaginare come lui. E noi, nella sciagurata vergogna di veder rimosso lo scempio che s’è consumato fino a un pugno d’anni fa, possiamo rallegrarci: finalmente torna un nemico comune contro cui sentirci uniti. Finalmente Silvio torna a distrarci dal vuoto siderale che c’è nella nostra politica, dalla paralizzante incapacità amministrativa, dall’incomunicabilità sistematica, dai contenuti claudicanti, da quell’incapacità ormai cronica di andare in profondità, di analizzare, di discutere, di sporcarci le mani con la democrazia.

Insomma Silvio, we miss you so much!

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