“Ma lo dico da vent’anni, io!”, ecco, questa potrebbe essere la sigla, il sigillo, il claim fisso di Massimo Cacciari. Esattamente così il nostro pensatore, da quasi un lustro, pubblicamente certifica infatti la propria esistenza, il proprio spessore, il proprio valore d’uso intellettuale. Ricattandoci tutti rispetto alla nostra inadeguatezza.
Domanda assai sovrastrutturale: si potrà umanamente trovare insostenibile un signore, meglio, un filosofo che, da sempre, così ripete? Un filosofo che, diversamente dal travagliato collega Tommaso Campanella, una sia pur temporanea “città del Sole” ha potuto concedersela, conquistando e infine governando, con il titolo di sindaco, una città mitopoieticamente irripetibile, un tratto unico di universo mondo, quale Venezia?
“Ma lo dico da vent’anni, io!”. Anche noi lo ascoltiamo da allora, anzi, abbiamo perfino avuto modo di accostarci ai suoi libri, non solo alla sua barba imperiale, fin da quando lo studioso ragionava sulla sostanza degli angeli, anzi, dell’Angelus Novus di Walter Benjamin e Paul Klee, l’angelo dell’avvento, della rivelazione del tempo e della Storia, marxismo ibridato di ebraismo… Ma adesso non facciamola troppo difficile, torniamo piuttosto alla semplice sensazione di insostenibilità della persona pubblica, lasciando semmai al filosofo Dario Borso, la considerazione sul reale spessore creativo del nostro, questi, il Borso, infatti, già nel 1995, gli ha addirittura dedicato un pamphlet, “Il giovane Cacciari” (Stampa Alternativa), così da segnalarne le rimasticature, il pensiero non del tutto originale. Quanto a noi, stremati, basterà rilevare il tratto da “convinto”, convinto di sé, categoria quest’ultima che appartiene, ben oltre la filosofia, alla prosaica commedia umana da bar annesso a un Cral.
Non si può infatti negare che nei molti Cral dove ha luogo la discussione politica, i talkshow, e perfino sulle puntuali interviste, metti, su “la Repubblica”, Cacciari sia assente, sembra quasi di sentire sottotraccia il direttore che, in riunione di redazione al mattino, di fronte all’interrogativo su quale palombaro capace di calarsi nell’abisso della gnoseologia politica convocare, conclude: “E tu chiama Cacciari, mettiamo pure un’ampia conversazione con lui, lo chiami subito?”, così rivolto all’inviato di turno, solerte, in maniche di camicia.
Il libro del collega Borso, dimenticavo, si apre con un doppio esergo: “Stia tranquillo che al Costanzo Show non mi vedrà mai.” (intervista al Corriere della Sera, 19 maggio 1994). “Se mi consente una citazione: virtus ipsa praemium est.”(al Maurizio “Costanzo Show”, 19 ottobre 1994).
“Ma lo dico da vent’anni, io!” Non si potrà tuttavia negare che c’è stima, attenzione e sovente consenso assoluto e ammirato, verso le parole e la prossemica di Cacciari, e sia pur prendendo doverosamente per buona la smentita di quest’ultimo circa un suo possibile legame sentimentale con Veronica Lario, ipotesi ventilata dallo stesso Silvio pubblicamente (rammentate Berlusconi che, nell’ottobre del 2002, in conferenza stampa a Palazzo Chigi insieme al presidente di turno dell’Ue, il danese Rasmussen, dice: “Rasmussen è il primo ministro più bello dell’Europa. Penso di presentarlo a mia moglie perché è anche più bello di Cacciari. Con tutto quello che si dice in giro… Povera donna…”), relazione smentita dal diretto interessato con queste parole: “Non so chi possa essere stato il matto a tirarla fuori, ma non l’ho mai vista”, va comunque rilevato che l’uditorio perfetto del suo già certificato consenso sembra mostrare una popolazione spiccatamente femminile, affascinata, di più, stregata dalla sua barba degna di un Nicola II Romanov, paradossalmente sorta di migliaia e ancora migliaia di sosia di Veronica Lario, volti da ceto medio riflessivo, i figli iscritti alle scuole steineriane, la zuppa di farro in tavola, in visibilio davanti ai suoi gesti, alle sue parole, al suo “Ma lo dico da vent’anni, io!”
Cacciari dice tutto da vent’anni, lui! Grazie a questo salvacondotto particolare, la sua semplice presenza, spesso in collegamento dalla Laguna, fa risuonare un definitivo “ma che cazzo state dicendo?!”(sic), consegnando così all’altro una posizione di soggezione e minorità
Forse anche questo dato fascinatorio può avere influito affinché Don Verzé, siamo sempre nel dominio di Arcore, gli fornisse, nel 2002, l’occasione di addirittura fondare la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele, di cui è stato preside fino al 2005.
Cacciari, del cui pensiero acuto per definizione, si è già detto, è in breve chiamato in causa come sorta di primo soccorso filosofico, perché Cacciari sa quel che dice, sa ciò che pensa, forte del fatto d’avere un bagaglio di intelligenza sapienziale che giunge dalla storia del pensiero stesso che si fa praxis: metafisica più annona, Marx e Wittgenstein più infrastrutture e partecipate, competenza e narcisismo, sicurezza di sé e smorfia di doverosa superiorità da schnauzer appartenuto al poeta Rilke, il maestro dell’Indicibile.
Diversamente da quest’ultimo, Cacciari dice tutto da vent’anni, lui! Grazie a questo salvacondotto particolare, la sua semplice presenza, spesso in collegamento dalla Laguna, fa risuonare un definitivo “ma che cazzo state dicendo?!”(sic), consegnando così all’altro una posizione di soggezione e minorità, già, se a darti dell’incapace è un filosofo non può non esserci qualcosa di vero nelle sue parole, confermando così d’essere, marxianamente, in possesso di un plusvalore speculativo, capacità di carotaggio degli strati profondi della geopolitica, come soltanto a un ex cognato di Nanni Moretti, altro maestro di convinzione, è concesso.
“Ma lo dico da vent’anni, io!” Ora, ora che sono i giorni dell’ammazzacaffè renziano, Cacciari ci consegna l’ennesima sua certezza, avvisando che:
“se il Pd scende sotto la soglia del 25% nel proporzionale, il centrosinistra in Italia è morto. Peggio che i socialisti in Francia”. E questo perché, sempre parole sue: “è una vecchia storia, il problema viene da lontano. Io sono fra quelli che, più di dieci anni fa, consigliai a quel partito che stava per nascere di darsi un assetto veramente federalistico, con effettiva autonomia territoriale. Ma questo consiglio non è stato seguito. Il Pd non è mai nato e la convivenza coatta ha portato alla rottura, avvenuta proprio nel momento peggiore”.
Qui, Cacciari, bontà sua, concede finalmente uno sconto a tutti noi, auditori del suo sapere, dunque, il ventennio, come in una scultura di Alberto Giacometti, è come assottigliato, scarnificato dallo “zeitgeist”, lo spirito del tempo, diventando, più modestamente, decennio. Grazie, Massimo per averci amnistiato.
Poi, alla domanda circa il “voto utile”, dove ti aspetteresti che l’uomo si trasfiguri finalmente nell’amato Nietzsche abbracciando il cavallo della fantasia, la risposta è invece crudele per chi volesse sognare, ritrovare il volo, cioè l’abbandono, il fantastico, l’al di là della miseria del contingente politico quotidiano: “Adesso non si può fare altro che provare a salvare il soldato Renzi”.
Quando anche i filosofi invitano al senso di responsabilità, per realpolitik o addirittura coscienza del bene superiore, forse è il caso di comprendere che quelli di cui si discettava, in verità, non erano angeli, bensì, più realisticamente, guardie giurate.