Il sogno del posto fisso è svanito. E anche gli italiani non ci credono più. Pure il piccolo Checco Zalone, che in Quo vado? dice che da grande «vuole fare il posto fisso» dovrà rassegnarsi. Ma non è solo pessimismo. Oltre tre lavoratori su quattro hanno anche fiducia nella crescita dell’azienda per cui lavorano e quasi la metà crede nel miglioramento economico del Paese. Realisti, ma più ottimisti: questo è il quadro che viene fuori dall’ultima indagine Randstad Workmonitor e dall’Economic Outlook del 2018.
Il 74% degli italiani è consapevole ormai che l’idea di un lavoro a vita dietro la stessa scrivania non esiste più. Siamo addirittura un punto sopra la media globale. Che il lavoro non sia più quello “sicuro” di un tempo lo sanno più le donne degli uomini: 77 contro 70 per cento. E, a sorpresa, i più realisti sono anche i lavoratori più anziani: il 76% dei dipendenti nella fascia 45-67 anni, contro il 72% di quelli fra i 18 e i 44 anni.
I tempi di lavoro non sono più quelli del contratto a tempo indeterminato. Come era emerso dai dati dell’Osservatorio Veneto Lavoro (di cui avevamo parlato), in un caso su tre il contratto a tempo indeterminato dura meno di un anno. E non perché i dipendenti vengono licenziati. Molto spesso è il lavoratore a decidere di abbandonare il posto fisso. Dopo meno di cinque anni, la metà dei contratti stabili in Veneto si conclude. E nel 50% dei casi la risoluzione del contratto è dovuta alle dimissioni, più che al licenziamento.
La consapevolezza della flessibilità richiesta dal mercato del lavoro spinge a uscire dalla comfort zone per trovare nuovi impieghi o mantenere quello attuale. E ben il 91% degli italiani, il 5% in più rispetto alla media globale, secondo i dati Randstad ritiene che per migliorare la propria competitività sia necessario investire giorno dopo giorno nella formazione. Il 60% dei lavoratori intervistati in Italia è disposto anche a fare le valigie per lavorare all’estero temporaneamente. Il 59% invece vorrebbe anche trasferirsi definitivamente.
Ma c’è chi comincia a credere anche nella ripresa. Il 48% dei lavoratori ha fiducia nel miglioramento della situazione economica del Paese, contro il 61% della media globale. Rispetto allo scorso anno, l’Italia ha guadagnato sette punti, pur restando nelle posizioni più basse in Europa.
Il sogno del posto fisso è svanito. E anche gli italiani non ci credono più. Ma oltre tre lavoratori su quattro hanno anche fiducia nella crescita dell’azienda per cui lavorano e quasi la metà crede nel miglioramento economico del Paese
Molto più ottimismo emerge riguardo ai risultati raggiunti dalla propria azienda. Il 64% dei lavoratori è convinto che il proprio datore di lavoro abbia ottenuto risultati migliori rispetto all’anno precedente, con i lavoratori più giovani che si mostrano più fiduciosi dei senior. Ben tre lavoratori su quattro, invece, ritengono che le performance aziendali continueranno a migliorare anche nel 2018. E anche in questo caso sono gli under 45 il segmento più ottimista.
L’ottimismo, però, si riduce quando si passa dai risultati aziendali a quelli individuali. Il divario fra la media degli italiani che si aspettano di ricevere un aumento di stipendio alla fine dell’anno (39%) e quella globale (56%) è di ben 17 punti. E solo il 45%, contro il 51% della media globale, si aspetta di ricevere un bonus una tantum entro la fine del 2018.
Ma pur di mantenere il lavoro attuale si è disposti a qualche sacrificio. Il 44% degli intervistati afferma, ad esempio, di essere disposto ad accettare un demansionamento o la diminuzione dello stipendio. E l’85% dei lavoratori dice che accetterebbe un contratto a termine pur di non rimanere disoccupato.
Il timore di perdere il lavoro, però, è sempre presente. Ma dai più recenti dati Randstad viene fuori che gli italiani hanno iniziato a guardare alle opportunità del mercato del lavoro più serenamente rispetto al passato. Solo il 7% ha paura di restare disoccupato, percentuale che però sale al 14% nel caso dei giovani trai 18 e i 24 anni. Mentre la metà degli intervistati ha fiducia nella possibilità di trovare un impiego simile a quello attuale e il 44% ritiene che sia possibile la sostituzione con un posto di lavoro diverso. Ovviamente non fisso.