La “fake poetry” è più deleteria delle fake news. Meglio tornare al “difficile” Rilke

Il mercato editoriale pensa solo ai soldi e disprezza il suo pubblico: solo questo spiega l’esistenza di un autore pseudopoeta come Atticus tradotto da uno youtuber. Viva Rilke, che ci ricorda che la poesia vera è dura e difficile e per questo bellissima

Il bastone

Questa non sarebbe venuta in mente neppure a Philip K. Dick, uno che s’inventava replicanti e sognava pecore elettriche. Neanche nel più grottesco dei mondi distopici la somma di due nullità dà per risultato un bestseller. Eppure, in Italia accade anche questo.
Francesco Sole, “youtuber e poeta”, come dice la dida – e vada per il primo epiteto, una declinazione dell’imbecillità, ma il secondo, ‘poeta’, per carità: tutti, al cospetto di Omero, Ovidio, Leopardi, Dante, Rilke, sono poeti presunti prima di finire sottoterra e vedere come germoglierà l’opera – ma soprattutto “autore di libri di grande successo” – consapevoli che il ‘successo’ è inversamente proporzionale al genio – “presta la sua penna e il suo talento” per tradurre il “collega di versi” Atticus, che – ci avvisa un’altra dida – “è stato definito il ‘poeta più tatuabile del mondo’”. Insomma, un cretinetti che traduce un emerito furbetto, un cieco che accompagna uno storpio verso l’eternità della fama. D’altra parte, siamo sinceri, chi vorrebbe farsi tatuare sulle chiappe “entra pure nel mio cuore,/ ma prima togliti le scarpe” (purché i piedi non puzzino…), oppure “è bellissimo vedere/ come ti s’illuminano gli occhi/ quando parli/ delle cose che ami”, roba che se un tizio manda un sms del genere a una tizia lei, giustamente, s’incazza, ma mi hai preso per cretina, sua eminenza senza palle? Già.
Per scrivere d’amore – non si scrive d’altro da Omero e Saffo in qua – ci vogliono le palle, cioè gli attributi lirici. Io, se v’interessa, ho una regola aurea: quanto a poesie d’amore non ammetto nulla d’inferiore a questi versi di Boris Pasternak, “Amata, che raccapriccio! Quando ama un poeta/ è un Dio smanioso che si innamora./ E il caos di nuovo sbuca alla luce/ come nei tempi dei fossili”. Chi non s’allinea a questa tensione è insapore e inodore.
Al contrario, odorano di fuffa, di truffa frasi come “i miei/ atomi/ amano/ i tuoi/ è/ chimica”, neppure degni di stare su un cartiglio dei Baci Perugina, oppure “Non preoccuparti,/ lo vedi?/ Per qualcuno/ tu sei già/ magia” – dove, per altro, non si comprende il bisogno di andare a capo, è pura prosa, fanghiglia verbale, cacca grammaticale – vergata sotto la fotografia di una biondochiomata, magra, col culo nudo (femmine mie, ribellatevi a questi cialtroni del verso che vogliono scartavetrarvi con tali sdolcinature…).
Il mio inguaribile ottimismo antropologico mi porta a supporre che anche un cerebroleso riconosca la differenza tra “Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme/ che vanno al nulla eterno” (Ugo Foscolo) e “Il vero amore/ è quando ti scordi/ dove finisci tu/ e inizia l’altro” (ignobile tautologia, scopiazzata ignobilmente da una delicatissima poesia del solito Pasternak, tra le più note: “Quasi che con un ferro/ intinto nell’antimonio/ t’avessero tracciata/ a tratto sul mio cuore.// E lì, per sempre s’è incisa/ la dolcezza di quelle linee…/ e io non so tracciare un segno/ di confine tra te e me”). Penso, ostinatamente, ingenuamente, che un uomo sappia distinguere tra “Guarda ancora/ in alto, Clizia, è la tua sorte, tu/ che il non mutato amor mutata serbi,/ fino a che il cieco sole che in te porti/ si abbàcini nell’Altro e si distrugga/ in Lui, per tutti” (Eugenio Montale, La primavera hitleriana) e “Il sole promette di brillare?/ No, eppure lo fa lo stesso,/ anche dietro alle nubi più scure” (Atticus).
Se così non fosse, beh, semplicemente si è realizzata la più atroce delle distopie di Dick: l’uomo non è più uomo, è diventato un bipede idiota con il portafogli nel cuore. Detto questo, di Atticus, poeta su Instagram che lorda le librerie patrie, non bisognerebbe neppure parlare. Il mio, l’ho capito, ora, non è il ruolo del mastino della critica letteraria, oggi come oggi non c’è quasi nulla che sia degno di critica. Il mio ruolo, ora, è quello di smascherare i falsi poeti e gli scrittori fasulli, quelli che vendono misture insulse dicendo che sono toccasana per lo spirito, i buongustai del nulla. Le fake news non esistono, ma di fake poetry è pieno il mondo.

Atticus, Love Her Wild, tradotto da Francesco Sole, Fabbri Editori, pp.230, euro 16,90

La carota

Il fenomeno della fake poetry rende palese un problema capitale. L’editoria italiana non è più autorevole. Animata dal solo desiderio di fare grano – cioè, soldi – non sa più distinguere il grano dal loglio, il genio dall’osceno, il bello dalla fuffa. Così, a forza di ingurgitare Burger King abbiamo il gusto corrotto, non riconosciamo più il sapore della pasta fatta in casa. Passando dalla gastronomia alla bibliomania: perché al posto di stordirci con i libri inutili – per cui andrebbe coniato un nuovo significato per la parola ‘libro’ – di Francesco Sole o di Atticus gli editori nostri, quelli che contano, non tornano a stampare come si deve Saint-John Perse e Giorgio Seferis (un tempo in catalogo Mondadori, ora stampato dall’aureo, tenace Crocetti), Jaroslav Seifert (un tempo in catalogo Einaudi) e Octavio Paz (un tempo sdoganato da Mondadori), non certo mosche rare o nomi per intenditori, per sommelier della lirica, dacché ho citato quattro Premi Nobel per la letteratura?
Perché vince il pregiudizio irritante per cui il lettore, sempre&comunque, è un idiota e l’editore è il tizio che gli deve spillare i soldi vendendogli una sonora sòla?
Quanto ai fake poets: per sconfiggerli basta abbeverarsi alla foce dei grandi. Rainer Maria Rilke, ad esempio. Che nelle scintillanti lettere “a tutti predica il suo vangelo di durezza”, aderente a “una autenticità nuda e ferrea” (Marco Federici Solari). Nel 1905, ad esempio, ad Arthur Holitscher, il poeta insegna che fatica e difficoltà sono il crisma della disciplina lirica. “Spesso non ci accorgiamo di essere immersi nelle difficoltà finché non ci sono salite fin sopra le ginocchia, fino al petto, fino al collo. Ma siamo forse felici quando tutto è facile? Non proviamo quasi una forma di imbarazzo di fronte alla facilità? Il nostro cuore è profondo. E solo se veniamo schiacciati ne possiamo raggiungere le più lontane estremità. Perché di questo si tratta: di riuscire a toccare il fondo”. La fake poetry tocca il fondo dell’idiozia, a noi il compito di andare agli estremi della nostra sensibilità, sfidando il difficile, diffidando del facile.

Rainer Maria Rilke, La vita comincia ogni giorno. Lettere di saggezza e commozione, L’Orma editore, pp.64, euro 5,00

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