È la più grande cattedrale nel deserto del mondo. È grande sei volte New York, ma sul numero degli abitanti di Naypidaw non ci sono dati chiari, chi ci è stato concorda sul fatto che siano molti meno del milione dichiarato dal regime birmano, quello che, in un’atmosfera di l’acquiescenza abbastanza strana (nel silenzio della premio nobel per la pace Aung San Suu Kyi, e non solo) ha perseguitato per mesi la minoranza musulmana Rohynga.
Naypidaw (che in birmano significa “La sede dei re”) è stata costruita in base a un decisione improvvisa, e non chiaramente motivata, del regime militare al potere dal 1962. Dalle 6, 37 del 6 novembre 2005 (data e ora decise dagli astrologi del regime) è la capitale del Myammar (ex Birmania) al posto di Yangon. Si trova al centro di una zona isolata del paese. Per anni è stata off limits per gli stranieri. Adesso è liberamente visitabile, anche se a quanto pare non ci va mai quasi nessuno. I voli interni per la capitale sono spesso quasi vuoti.
C’è la pagoda Uppatasanti Paya, replica della Shwedagon Paya di Yangon, il luogo più sacro per i buddisti birmani. È alta un metro in meno dell’originale. E si staglia in una sotra di città fantasma. Circondata e attraversata da strada da otto a venti corsie (si dice siano state costruite così larghe per servire da aeroporti improvvisati in caso di attacco al regime). Non c’è conferma ma pare che sotto la città sia presente un sistema di passaggi sotterranei commissionato ad esperti della Corea del Nord. Le strade sono pulitissime.
Le case sono di colori diversi a seconda del tipo di mansione governativa che ricopre chi le occupa. Il Parlamento è gigantesco. Tra l’ingresso e il palazzo c’è un fossato di 100 metri, tutt’attorno una strada da 10 corsie. Quasi deserta. Macchine rarissime. Musei vuoti. Ristoranti quasi vuoti. Viene pubblicizzata come attrazione turistica. E in un certo senso non delude le aspettative