Sono una donna italiana. Ho 32 anni. Vivo a Milano. Lavoro da free-lance. Sono nubile. Sono nullipara. Pago troppe tasse per troppe poche tutele. Non ho quasi mai diritto a incentivi, bonus, premi pannolino, medaglie al valore per la quotidiana sopravvivenza in un paese per il quale potrei anche non esistere. Ciononostante, non sono scappata all’estero in cerca di una sorte migliore. Mi va bene la mia sorte, qui, anche se imperfetta e migliorabile. Mi piace l’Italia, con tutti i suoi limiti.
Tuttavia, in queste settimane di campagna elettorale che precedono le elezioni politiche di marzo, in queste lunghe giornate in cui sono esposta — come tutti — a una pletora infinita di bufale, e brutture, e contraddizioni, e sopraffazioni, e ignoranze varie, tra uno che parla di “razza bianca” con la stessa disinvoltura con cui ci racconterebbe come sua nonna preparava la cassoeula con l’ossobuco, e quelli che vogliono abolire vaccini ed euro, e il PD che candida Pier Ferdinando Casini (ve lo giuro, esiste ancora Pier Ferdinando Casini, dopo di lui possono riesumare solo Clemente Mastella) mi pare evidente che manchi un pezzo. Un grosso pezzo. Dove sono le donne?
Ci sono eccome, voi mi direte. Beh sì, formalmente c’erano anche durante il governo Berlusconi, se è per questo. Erano tante, come le Letterine di Passaparola. Non parlo di quelle donne, naturalmente. Parlo di donne dalle quali, quelle come me, possano sentirsi rappresentate (senza nulla togliere a esponenti femminili di alto profilo come Gabriella Carlucci, Daniela Santanché o Iva Zanicchi). Donne che riescano a esprimere opinioni condivisibili e non solo sulle “faccende da donne”, dall’uncinetto al femminicidio, ma pure sulla società, sui diritti civili, sull’economia, sul debito pubblico, sulla ricerca, sulle tasse, sull’istruzione, sulla sanità, sul lavoro, sulla laicità dello Stato.
Ci sono eccome, le donne, mi direte. Giusto. C’è la Meloni che, a parte essere la Meloni, difende le famiglie tradizionali e professa che abbiamo bisogno di figli. D’altra parte, come tutta la destra italiana, si ostina a non capire quanto sia cambiato il profilo stesso delle famiglie, e quanto ancora cambierà, e quanto non sempre sia possibile riprodursi, e quanto si abbia bisogno di essere rappresentati (non difesi) anche senza prole a carico (si è già osservato come lei non sia sposata al padre di suo figlio, e i suoi compagni di merende siano divorziati, ma questo miserabile paradosso era già emerso, lo ricorderete, ai tempi di quell’empio Family Day).
C’è la Lorenzin, che tutti ricordiamo per quella bella campagna sulla fertilità, utile a rammentarci che — in quanto donne — abbiamo una scadenza, tralasciando come poi, a dirla tutta, spesso l’infertilità sia pure maschile, come non dipenda solo ed esclusivamente dalle abitudini di vita delle donne e come tanto l’orologio biologico, quanto la precarietà professionale ed esistenziale, decisamente non siano problemi legati al solo genere femminile. Della Lorenzin, nel vuoto cosmico della sua credibilità politica, si può parlare solo a commento di quel logo in paint con il fiorellino su sfondo fucsia (si sa che a noi donne piacciono certe nuances) che le ha disegnato un bambino di 6 anni sottopagato.
C’è Emma Bonino, perché Emma Bonino c’è ancora e porta avanti quelle battaglie radicali di cui la nostra (in)civiltà ha un disperato bisogno. Purtroppo, però, ha pure un piede nella fossa e non pare disponga di un/a erede che possa perorare le sue stesse cause, domani. Ma magari c’è e sono io a ignorarlo.
D’altra parte, arriva una grande notizia: la Bongiorno, una con le palle (l’avvocato che ha difeso Giulio Andreotti ndr, che però è la stessa della pubblicità con Michelle Hunziker in difesa delle donne), si candida. Con chi? Con Salvini. Calate il sipario. Chiudete l’internet, come dicono i simpatici. La coerenza prima di tutto. Come sia possibile candidarsi con la Lega (Nord, perché ricordiamolo che è la Lega Nord, quella che — prima degli immigrati — ce l’aveva con i terroni e che adesso al sud rischia di mietere più voti della Democrazia Cristiana dell’Andreotti succitato) rimane un mistero insolubile. Con lo stesso Salvini che a ogni piè sospinto emette flatulenze verbali contro Laura Boldrini.
La cosa che mi lascia più perplessa, è lo scollamento della politica classica dall’attualità. Il clima culturale che non viene intercettato e interpretato a palazzo. È L’idea che Laura Boldrini sia l’unica possibilità di rappresentazione accettabile che, in quanto donna, 32enne, free-lance, nubile e nullipara, non razzista, non xenofoba, non troppo populista, io possa avere. Mentre il mondo va altrove, mentre nell’occidente deflagra una nuova ondata di femminismo e di consapevolezza; mentre una serie come The Handmaid’s Tale fa incetta di premi e riconoscimenti, mentre si pubblicano libri come Questo è il mio sangue di Elise Thiébaut, che affronta uno dei tabù più intimi della femminilità (il ciclo mestruale)
E poi, naturalmente, c’è lei, Laura Boldrini, la più odiata dagli italiani. Perché? Nsesà. Continuo a chiedermi quale sia il problema con lei. Provate a interrogare i suoi detrattori sulle ragioni di cotanto, esplicito, astio. Farfuglieranno risposte approssimative, chiameranno in causa i “negri”, i “radical chic” e pure “quell’aria da maestrina”, ma non sapranno spiegare davvero le ragioni di un’avversione tanto dichiarata e volgare nei confronti della Presidente della Camera. E allora, di che si tratta? Possiamo ipotizzare sia colpa di quell’inclinazione sfacciatamente alto-borghese che decisamente non incontra il plauso dell’ex ceto medio, impoverito e incattivito? Possiamo supporre che la sua difesa degli immigrati, invece che degli “italiani che muoiono di fame”, come se non ci fossero già abbastanza esponenti politici che abbaiano contro gli invasori, legittimi un tale livore? O forse si tratta di quell’insopportabile femminilità che esibisce, senza essersi arruolata sul fronte camionista della politica italiana, al fianco di Rosy Bindi e Susanna Camusso? D’altra parte non ha mai rinunciato alla sua eleganza (insomma, non ha mai fatto la soubrette e, incredibilmente, in rete non si rinvengono immagini delle sue tette o delle sue chiappe ignude). Forse perché è una “bella donna della sua età”, dall’aria rispettabile e naturale, che non si gonfia la bocca e non si fa lo shatush? Forse è che in effetti non si è neppure tagliata i capelli corti, per sembrare più androgina e dunque più credibile? Forse è che non ha quell’austerità da Irene Pivetti (prima che la Pivetti sbroccasse e iniziasse a farsi i servizi fotografici sadomaso col suo toy-boy) o quella voce caricaturale da Rosa Russo Iervolino? Forse è che non ha una faccia da meme e non sbroccola errori ortografici come la Fedeli?
La risposta l’ho trovata in un saggio di Mary Beard, docente classicista di Cambridge, sul rapporto tra le donne e il potere. Stando a quanto analizzato dalla Beard, la colpa più imperdonabile di Laura Boldrini consiste esattamente nel fatto di essere donna e di fare politica, poiché la politica è storicamente un terreno strutturato su codici univocamente maschili. La colpa più imperdonabile di Laura Boldrini è di stare sulle proprie gambe e di esprimere le proprie idee, di non presentarsi come una personalità derivata, di non essere, in altri termini, la moglie, la figlia, la sorella, l’amante, la protetta di qualcuno, bensì di essere donna in quanto tale, capace di esprimere opinioni. A pensarci, è un trattamento riservato a tutte le donne che osano far valere la propria voce nel dibattito politico, non nel ruolo di gradevoli decorazioni di una leadership virile – del genere Boschi, Moretti, Madia e tutte le varie igieniste/ballerine/vallette del berlusconismo che comunque non sono certo state immuni alle più becere attenzioni sessiste – ma in quello di protagoniste pensanti.
La Beard, in “Women & Power”, spiega che questo è un (mal)costume antico: l’esclusione delle donne dalla sfera pubblica, l’avversione misogina della politica verso la voce femminile risale ai tempi dell’antica Grecia e dell’Impero Romano (con rare eccezioni, nelle quali alle donne era concesso esporre il proprio pensiero, ma solo in difesa del proprio marito, del proprio figlio, della propria famiglia) e si è perpetrata negli anni, assumendo connotati contemporanei e – in certi casi – raccapriccianti.
I tentativi di neutralizzare il potere femminile da parte della cultura maschilista (di cui spesso le donne stesse sono portatrici inconsapevoli) sono molteplici e sinergici. Da un lato, si mette in scena un’inclusione fittizia (le cosiddette “quote rose”) distribuendo qui e là graziosi simulacri di donne politiche, quasi sempre carine, inoffensive e assertive. Dall’altro, si alimenta senza ritegno una triviale antipatia per quelle che affermano la propria autonomia di pensiero e la propria identità. In altri termini: le proprie capacità. Così succede a Laura Boldrini, ad Angela Merkel (quella colona inchiavabile) e a Hillary Clinton (quella lobbista cornuta, alla quale gli americani hanno preferito un soggetto grottesco come Donald Trump). Questo per non citare le odiatissime Cancellieri e Fornero che, d’altra parte, facevano parte di un governo tecnico universalmente sofferto dagli italiani, al di là della gender politics.
E, in tutto questo, la cosa che mi lascia più perplessa, è lo scollamento della politica classica dall’attualità. Il clima culturale che non viene intercettato e interpretato a palazzo. È l’idea che Laura Boldrini sia l’unica possibilità di rappresentazione accettabile che, in quanto donna, 32enne, free-lance, nubile e nullipara, non razzista, non xenofoba, non troppo populista, io possa avere. Mentre il mondo va altrove, mentre nell’occidente deflagra una nuova ondata di femminismo e di consapevolezza; mentre una serie come The Handmaid’s Tale fa incetta di premi e riconoscimenti, mentre si pubblicano libri come Questo è il mio sangue di Elise Thiébaut, che affronta uno dei tabù più intimi della femminilità (il ciclo mestruale). Al cinema, in libreria, per strada, sui giornali e sui mezzi pubblici, ovunque pullulano focolai di un nuovo femminismo, ci sono manifestazioni e confronti, dialoghi più o meno aperti, agende da discutere, priorità, diritti, rivendicazioni da portare avanti e riflessioni da elaborare, che vanno molto oltre la mano sul culo in metropolitana. C’è un enorme lavoro di riappropriazione della sfera pubblica da fare, c’è un enorme bisogno di riequilibrare il potere, di ripensare i ruoli, di pareggiare le opportunità e i salari. C’è il femminismo tout-court, che dovrebbe partire dal movimento e crescere, montare su se stesso, creare un circolo virtuoso di appartenenza e riconoscimento. Avere una rappresentanza politica e una voce, ben udibile, anche ai piani alti della nostra consunta democrazia.
Ma in politica, in Italia, tra le urne e il Parlamento, i talk show e i proclami social, nulla di tutto ciò pare avvenire. Quelle come me una rappresentazione vera non ce l’hanno. E, nel dubbio, faranno meglio a farsi andar bene Laura Boldrini, invece dell’ennesimo sessista o, peggio ancora, finto-femminista.