Quanti rifugiati siriani ci sono in Russia? Solo uno

In realtà sono due, ma uno è arrivato prima dello scoppio della guerra nel 2011. La politica di accoglienza di Mosca è piuttosto restrittiva, ma questo non vuol dire che non ci siano migranti mediorientali sul territorio: solo, hanno permessi diversi e meno definitivi

Numero di rifugiati siriani sul territorio russo dal 2011: uno. Considerando anche il periodo anteriore al 2011: due. Per il resto, i 589 rifugiati del Paese sono tutti di origine ucraina e afghana, risalenti al periodo dell’invasione sovietica degli anni ’80. A confronto con i numeri che devono affrontare i Paesi europei la differenza è più che evidente.

Prima di lanciare strali contro il governo di Putin, come cerca di fare questo articolo di Al Jazeera, ci sono alcune questioni da considerare. Prima di tutto, se il governo di Mosca è restio a garantire lo status di rifugiato è però più flessibile quando si tratta di fornire il permesso di asilo temporaneo. È un’altra cosa e secondo i dati del 2015, è stato assegnato a 1.302 richiedenti, respingendone 659. Altri 5.000 invece si trovano sul territorio russo

Cercare riparo in Russia, però non è facile. Bisogna, prima di tutto, dimostrare di avere legami con quel Paese. E questo lo possono vantare solo i cittadini siriani di discendenza circassa, dal momento che la loro antica madrepatria si trova nel territorio russo. Gli altri, invece, vengono respinti. A meno che non riescano a dimostrare che, in Siria, si trovino esposti a un rischio “maggiore” di persecuzione rispetto a chi è rimasto. È un modo “puttosto restrittivo” di interpretare la definizione della Convenzione di Ginevra, dicono gli attivisti (che non lo approvano).

Non è solo un problema burocratico: i russi sono ostili ai rifugiati siriani. Prima di tutto, perché il conflitto in Medio Oriente li tocca da vicino: “Volete dare lo status di rifugiato a questi ragazzi siriani? Mio fratello, un giovane ufficiale, è stato mandato in Siria a combattere”, replicano alcuni. “Quindi: mio fratello, che è russo, è laggiù a fare la guerra. E noi dobbiamo dare da mangiare a questi, che sono siriani e sono qui. Dovrebbe essere il contrario: loro devono tornare in Siria e difendere la loro madrepatria, il loro governo eletto”.

Poi perché, a livello politico, l’alleanza tra Putin e il presidente siriano Assad suggerisce prudenza sulla questione: in fondo si tratta di accogliere, tra le vittime, anche i potenziali avversari di Assad. Non sarebbe cortese. La Russia sente di aver già fatto tanto: intervenendo, ha salvato il governo in carica e ha ribaltato le sorti dello scontro. I rifugiati non sono un problema loro. Come ha detto il portavoce del presidente Putin, interrogato sulla questione, “se ne devono occupare i Paesi che hanno causato la crisi”.

I quali, però, dopo iniziali slanci di generosità (come la mossa a sorpresa di Angela Merkel, apprezzata dagli editorialisti e punita dagli elettori) si sono richiusi a riccio. La Norvegia ha sbarrato il confine con la Russia, riportando indietro alcuni richiedenti asilo. La stessa Germania ha deciso di pagare la Turchia per bloccare il passaggio dei siriani, chiudendo la cosiddetta via balcanica. Il governo italiano, esposto agli arrivi di migranti via mare, cerca di mettersi al riparo con accordi in Libia (molto difficilii) e missioni in Niger.

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