Renzi non è più renziano: la rivoluzione copernicana dell’era Calenda

Calenda si sta rivelando come uno degli uomini del Pd più pragmatici e meno assoggettati a logiche di gerarchie di partito. Renzi sa di non essere più invincibile, così decide di affidarsi a lui, malgrado sia un outsider: per il mondo renziano è una rivoluzione copernicana

“Noi non siamo dei rottamatori, ci siamo rivelati dei grandi costruttori”. Teatro Neri Parenti, Milano. Sul palco ha da poco preso la parola il ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda, accolto da un boato della platea del Pd. L’iniziativa in questione è nata per sostenere la corsa di Giorgio Gori alla presidenza della Regione Lombardia, con il sindaco di Milano Beppe Sala e, soprattutto, il segretario del Pd Matteo Renzi. Ma l’applausometro è tutto per Calenda, che, con una frase, manda all’aria le fondamenta della retorica che ha costruito e dato linfa vitale il renzismo. Una conferma: il 44enne ministro si è rivelato nelle ultime settimane uno degli uomini politici (in senso lato) più pragmatici e meno assoggettati a logiche di gerarchie di partito.

Proprio per questo motivo tra Calenda e lo stesso Renzi il rapporto è sempre stato a corrente alternata. E’ stato l’ex premier a volerlo come uomo di fiducia a Bruxelles, sempre lui a indicarlo come titolare di un dicastero fondamentale come quello dello Sviluppo. Eppure, di Calenda, Renzi non si è mai fidato fino in fondo. Sarà perché, come ha detto lui stesso, “l’ho sempre considerato come un fighetto di Confindustria”, oppure, più probabilmente, perché non ha mai fatto espressa professione di fedeltà assoluta al “capo”, fino a qualche mese fa precondizione minima per entrare nelle grazie renziane.

Evidentemente l’aria è (finalmente) cambiata. Calenda si è ritrovato catapultato sul palco di Milano insieme a quello che lo stesso Renzi continua a ritenere “il miglior Pd”, ossia quello del Nord, al di là del suo rapporto difficile con Sala. E ieri si è ritrovato in prima pagina sull’house organ Democratica (che essendo fatto dai renziani per i renziani è un termometro esatto del pensiero dominante nel Pd) sotto il titolone “Gioco di squadra”. Tanto che alcuni parlano già di ticket Renzi-Calenda, da affiancare all’uomo della provvidenza Paolo Gentiloni. Con buona pace di Marco Minniti e Graziano Delrio che devono registrare un calo di gradimento dalle parti di Rignano sull’Arno.

Tra Calenda e lo stesso Renzi il rapporto è sempre stato a corrente alternata. E’ stato l’ex premier a volerlo come uomo di fiducia a Bruxelles, sempre lui a indicarlo come titolare di un dicastero fondamentale come quello dello Sviluppo

In pochi sanno che la storia, anche negli ultimi giorni, sarebbe potuta essere molto diversa. La presenza del ministro sul palco di Milano, fino a poche ore prima dell’iniziativa era tutt’altro che scontata. A dimostrazione del fatto che fosse molto chiara a tutti la portata del messaggio politico che si celava dietro la scelta della formazione da mettere su quel palco.

Come detto, Calenda non ha mai risparmiato stoccate, anche pesanti, nei confronti di Renzi. Dalle lodi al governo Gentiloni (rispetto a chi lo ha preceduto) alle critiche sulla proposta di abolizione del canone Rai e sulla mozione contro il governatore di Bankitalia Ignazio Visco (“non parlo per amor di patria”) fino al botta e risposta su Twitter (si parlava di slogan su tasse e deficit) che ha fatto in poche ore il giro del web. Quanto basta – o meglio, quanto bastava – per finire (metaforicamente) nei “gulag” del dimenticatoio renziano. Per molto meno, uomini vicinissimi al segretario, sono scomparsi dalla circolazione in questi ultimi anni.

Non Calenda. Perché? Intanto perché esiste un fattore C. Il ministro è molto (molto) ben quotato negli ambienti che contano in campo industriale e finanziario. E poi perché nelle ultime settimane la sua popolarità sta crescendo, parallelamente alla sua esuberanza. Non è un caso che a Roma sia ormai considerato il vero anti-Raggi e che il suo nome stia circolando in maniera sempre più convinta riguardo una sua possibile candidatura al Campidoglio, specie se la giunta grillina dovesse caracollare prima del termine.

Il ministro è molto (molto) ben quotato negli ambienti che contano in campo industriale e finanziario. E poi perché nelle ultime settimane la sua popolarità sta crescendo, parallelamente alla sua esuberanza. Non è un caso che a Roma sia ormai considerato il vero anti-Raggi e che il suo nome stia circolando in maniera sempre più convinta riguardo una sua possibile candidatura al Campidoglio

Per il mondo renziano è una rivoluzione copernicana. Tutte le convinzioni di un tempo si stanno dissolvendo davanti al fenomeno Calenda. La fedeltà incondizionata – che il più delle volte è sfociata nell’idolatria – potrebbe non essere più la carta vincente per entrare nel cuore di Renzi?

Diciamolo subito: giungere a questo tipo di conclusione è assolutamente sbrigativo. Il caso Calenda dice, però, un’altra cosa, decisamente più interessante se guardiamo al quadro politico. Da una parte che Renzi sa di non essere più invincibile, anzi. I tempi in cui trasformava in oro tutto ciò che toccava sono lontani anni luce. Dall’altra questa situazione potrebbe avergli fatto fare un salto di qualità dal punto di vista della maturità politica. Detto in una parola, dietro la scelta di Renzi di coinvolgere il “reticente” Calenda c’è una gran consapevolezza.

Quella consapevolezza che l’ha portato, nelle ultime settimane, a fare un sostanziale passo a lato nella corsa alla premiership, parlando “di un presidente del Consiglio del Pd” non più in prima persona, valorizzando il lavoro svolto da Paolo Gentiloni. E’ la consapevolezza di giocarsi il tutto per tutto in una partita che potrebbe segnare il definitivo fallimento politico del renzismo. E’ lui a fissare la quota: “Con il 24% perdiamo, con il 26% vinciamo”. Un modo come un altro per dire che per superare la fatidica quota Bersani (il risultato del Pd nel 2013, tante volte dileggiato dall’attuale segreteria dai suoi sodali) Renzi è disposto a tutto. Anche a circondarsi di politici veri e non solo di controfigure.

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