“Ora lo odiate. Ma un giorno potreste pensare come vi dice lui”. È il nuovo allarme che gira per gli Usa e spaventa tutti i cittadini americani che, temono, a lungo andare potrebbero cominciare a parlare e pensare proprio come Donald Trump.
Proprio così: la sovraesposizione al suo linguaggio, fatto di costanti e incrollabili ripetizioni, potrebbe comportare trasformazioni (o, a seconda del credo politico, danneggiamenti) al cervello. L’eletore dem si crede al sicuro perché il messaggio non passa, almeno a livello concettuale. Ma non lo è, perché il suo meccanismo linguistico rimane.
Lo dice, in una intervista al quotidiano tedesco Deutsche Welle, il noto linguista George Lakoff. “Il linguaggio attiva un’area e un circuito nel cervello. Ogni volta che viene attivato un circuito, una sinapsi si rafforza”. Più si ascolta – e si dice – una cosa, più il circuito diventa forte e resistente.
L’esempio più chiaro è quello del linguaggio di Bush: continuava a usare l’espressione “tax relief”, cioè “sollievo fiscale”, con l’implicita affermazione che il pagamento delle tasse fosse un peso anziché un dovere civico, andando a penetrare nel linguaggio corrente, fino a sdoganare idee e atteggiamenti mentali (e non solo) conseguenti.
E Trump? La cifra del suo linguaggio è la ripetizione. Frasi semplici, semplicissime, ripetute fino allo sfinimento. Ogni argomento viene rivisto e ricontestualizzato a modo suo: cambia argomento quando è in difficoltà, fa sparate per far spostare l’attenzione, è sempre attento a non risultare mai colpevole di qualcosa.
Essere esposti a questo tipo di linguaggio, sostiene Lakoff, è pericoloso. Prima o poi, se non si reagisce sviluppando e insistendo su sistemi di espressione diversi, lo si asseconderà. Lo si ripeterà. Lo si rafforzerà. Si diventerà dei piccoli Donald Trump, però con meno dollari e senza il grosso bottone.