Nei primi anni Novanta Silvio Soldini ha girato un film nella mia città natale, Ancona. Così almeno dicevano quotidianamente le locandine dei giornali locali. La mia città natale, citata da tutti mentre si fa spelling, A come Ancona, e gettonatissima quando si gioca a Città, Animali, Frutta, Cose, è in realtà piuttosto vessata dai miei connazionali, che spesso ne ignorano la collocazione, nonostante sia capoluogo di regione. Più di una volta mi sono trovato a dover spiegare che siamo a circa un centinaio di chilometri più a sud di Rimini, invece conosciutissima. O addirittura circa centocinquanta chilometri più a nord di Pescara, che per un anconetano è un po’ come usare Pisa per spiegare dove si trovi Livorno. Potete ben capire, quindi, come la notizia di un film girato nella mia città, per di più da un regista famoso e con un attore famoso come Bentivoglio avesse creato in città un certo fermento. Fermento che ci aveva ripagato della cocente delusione, giunta dopo una inaspettata gioia, per la fulminea retrocessione in serie B dell’Ancona, tornata in serie A dopo qualcosa come quarant’anni. Del resto da noi era in precedenza stato girato solo Ossessione di Luchino Visconti, durante la guerra, film di tutto rispetto, parte della storia del cinema, ma per chi voleva affrancarsi dal dover essere nato in una città a metà strada tra la goduriosa Rimini e Pescara merda, lo capirete da soli, era un po’ poco. Ben venga Soldini e il suo film anconetano. Urrà.
La delusione per l’uscita del film, Un’anima divisa in due, sarà altrettanto cocente, per di più per ragioni che in qualche modo sono legate all’Ancona Calcio. Perché Soldini, che evidentemente aveva scelto la città non tanto per la sua bellezza paesaggistica e per il centro storico che si inerpica sul colle Guasco, quanto perché gli anconetani gli dovevano stare profondamente sul cazzo, ha filmato scene solo nelle parti più brutte e desolate. La zona industriale, squallida come tutte le zone industriali, e quelle che per qualche anno saranno famose come le “incompiute di Longarini”, allora patron dell’Ancona famoso per aver iniziato a costruire ponti e strade mai portati a termine. Ci saremmo rifatti anni dopo, quando Nanni Moretti sarebbe venuto in città per girare il suo La stanza del figlio, anche se, pure lì, Ancona non verrà mai menzionata nel film, seppur riconoscibilissima, e il regista romano dichiarerà in più di una occasione di averla scelta per il suo essere così anonima e poco conosciuta.
Ben capirete, quindi, come associare Un’anima divisa in due a qualsiasi discorso, per uno come me in esilio al nord da ventuno anni, non sia una premessa di quelle che ti fanno innalzare il picco delle aspettative positive. Dici Un’anima divisa in due e vedi la tua amata terra descritta come container polverosi e ponti che non si uniscono, come uno scenario desertico con rotoli di polvere che si rincorrono.
In realtà Claudio Baglioni credo sia esattamente in questa posizione, al momento, un’anima divisa in due, grandi aspettative che potrebbero miseramente capitolare, vanificando una attesa protratta per tutta una lunghissima carriera e al tempo stesso sospetti e malumori che si estendono con la stessa velocità con cui, in genere, sospetti e malumori si estendono, cioè velocissimi e implacabili, capaci di raggiungere anche luoghi lontanissimi e sconosciuti, tipo Ancona.
Proprio seguendo l’andamento emotivo che accompagnò il lancio e l’uscita di Un’anima divisa in due, direi di partire dalle aspettative.
Sulla carta Claudio Baglioni ha rivoluzionato il Festival della Canzone Italiana. Proprio a partire dal nome. Nel senso che, dopo tanti anni, sembra che la canzone italiana sia tornata al centro dell’attenzione, o quantomeno le canzoni italiane che possano in qualche modo intercettare il gusto di uno come Claudio Baglioni, un musicista attento e preparato che, però, ha sessantasei anni. Appena arrivato sullo scranno del direttore artistico, infatti, ha per prima cosa eliminato l’eliminazione, ridando dignità agli artisti, a discapito dello spettacolo televisivo, e concedendosi il diritto di poter chiamare alle armi anche artisti che altrimenti non si sarebbero avvicinati all’Ariston. Per dirne uno, il Ron che presenterà a Sanremo l’inedito di Lucio Dalla, dopo l’eliminazione dell’anno scorso, eliminazione scandalosa, ricordiamolo, col cavolo che sarebbe tornato. E invece eccolo lì, pure con buone chance di vittoria.
Claudio Baglioni credo sia esattamente in questa posizione, al momento, un’anima divisa in due, grandi aspettative che potrebbero miseramente capitolare, vanificando una attesa protratta per tutta una lunghissima carriera e al tempo stesso sospetti e malumori
Subito dopo ha anche apportato un altro cambiamento al regolamento, sempre a favore dei cantanti. Ha allungato il tempo massimo di ogni canzone dai tre minuti e quindici, figli della radiofonia, ai quattro minuti. Del resto, va detto, i cinque minuti e passa di Poetica, primo singolo del nuovo album di Cesare Cremonini, in radio sono passati parecchio, forse sarebbe il caso di rivedere certe logiche del passato. Logiche del passato che in effetti sono state accontanate per quel che riguarda la serata delle cover, spazzata via per un più canonica serata dei duetti. Come dire, venite, fate le vostre canzoni, e che le vostre canzoni siano cantate il più possibile. I duetti, ovvio, servono a altro, soprattutto a portare sul palco artisti esclusi, e qui si intravede una prima crepa sul quadro. Ragionamento, quello della vetrina più ampia possibile per le canzoni, estesa anche ai giovani, che si esibiranno tutte le sere senza eliminazioni pronti via.
Quindi i primi passi sono stati quelli giusti, sembrava. E anche a vedere i nomi degli artisti che alla fine sono arrivati al Festival, a dirla tutta, c’è quasi da gridare al mezzo miracolo, almeno pensando a quel che è successo negli ultimi anni (non solo nella gestione Carlo Conti, ma anche nella gestione Carlo Conti). Si possono infatti ammirare nomi importanti della nostra storia musicale. Da Enzo Avitabile, in compagnia di Peppe Servillo, allo stesso Ron, qui per omaggiare Dalla, dai Decibel di Enrico Ruggeri a Ornella Vanoni, in compagnia di Bungaro e Pacifico, due dei nostri autori migliori, da parte dei Pooh, vedi la coppia Facchinetti & Fogli, da una parte, e Red Canzian, dall’altra, che innalzano la quota del pop, perché di ottimo pop ne hanno scritto e ne scrivono ancora parecchio, da Renzo Rubino al ritrovato, cantautoralmente parlando, Luca Barbarossa. E poi gli Elii, Max Gazzè, insomma, un ottimo parterre. Pure Lo Stato Sociale a tenere alta la quota indie e la quota giovane. E qui arriva una seconda crepa nel quadro. Poi ci sono le donne, tipo la già citata Vanoni, Noemi, Annalisa, Nina Zilli. E poi tipo… e anche… No, ecco, di donne ce ne sono davvero pochine, lo sapete già, ne abbiamo parlato. Quattro su trentanove BIG in gara, comrpese le band. Sette su quarantasei, se ci mettiamo anche Eva Pevarello, Alice Caioli e Giulia Casieri. Un po’ pochino. Anzi, niente. Di qui il lancio dell’hashtag #LaFigaLaPortoIo, che Linikiesta sostiene senza se e senza ma. Terza crepa, questa, piuttosto evidente. Un ponte che non si ricongiunge con l’altra sua estremità. Una autostrada che non porta da nessuna parte. Un’anima divisa in due.
Sì, perché se da una parte, ce lo siamo detti, ci sono tanti aspetti positivi, e anche tante canzoni belle (le brutte non le citiamo, ma è facile fare la spunta dalla lista), dall’altra ci sono le ombre di cui si faceva cenno in precedenza. Ombre che si aggiungono alle crepe già citate.
Di donne ce ne sono davvero pochine, lo sapete già, ne abbiamo parlato. Quattro su trentanove BIG in gara, comrpese le band. Sette su quarantasei, se ci mettiamo anche Eva Pevarello, Alice Caioli e Giulia Casieri. Un po’ pochino. Anzi, niente
Su tutte, è noto, siamo stati i primi a sottolinearlo, e a dirla tutta siamo anche stati i soli a sottolinearlo, almeno fino a pochi giorni fa, la presenza del Deus Ex Machina di questa partita, Ferdinando Salzano di Friends & Partners. Di lui abbiamo parlato più volte, delle sue connessioni con la RAI, del suo essersi preso nel giro di pochi anni tutto, finendo addirittura per incorporare in sé tutta la filiera musicale, dal management alla produzione discografica, a quella televisiva, e quindi promozionale, a live, che resta il suo focus. Stavolta Salzano, che di Baglioni è promoter e in qualche modo stretto collaboratore, ha esteso la sua gelida manina sul Festival, scatenando per altro nervosismi mica da ridere in casa RAI. L’aver inserito nel cast alcuni suoi artisti potrebbe essere quasi una necessità, perché F&P gestisce i live di una quarantina di grossi nomi italiani e sarebbe stato impossibile fare altrimenti, ma già i continui annunci del tour di Baglioni suonano sinistri, perché è come se il Festival servisse da cassa di risonanza del vero lavoro di Salzano. Poi, a leggere la lista dei superospiti italiani vien quasi da ridere. C’è la Pausini, che guarda caso si troverà a breve a tornare con un album e che poi dovrà riempire per due volte il Circo Massimo, c’è Gianna Nannini, che reduce da un clamoroso flop deve portare gente almeno a vederla dal vivo, c’è Gianni Morandi, che con Baglioni, guarda caso, aveva condiviso l’esperienza di Capitani coraggiosi, e che ha un tour alle porte, c’è Biagio Antonacci, che dopo l’album ormai chiamato tra gli addetti ai lavori “l’album del cavallo annegato”, un po’ come era per “L’indiano” di De Andrè, ora ha un tour da portare a casa (e ricordiamo, riguardo a Biagio, anche la brutta vicenda della Bertè, non inclusa nel cast perché si è rifiutata di portare un suo brano). Vengono praticamente dati per certi Renato Zero e il trio Nek-Pezzali-Renga. Insomma, una bella infornata di artisti Friends and Partners, lì a promuore nel servizio pubblico l’attività di una azienda privata.
A mettere la ciliegina sulla torta è, però, anche la presenza sempre più pressante della SIAE, che proprio in questi giorni ha annunciato in Piazza Colombo, cioè la piazza principale di Sanremo a due passi dall’Ariston, la nascita di Casa SIAE, un Dome che ospiterà eventi e incontri. Il tutto dopo che, giorni fa, Filippo Sugar, presidente dell’azienda, era al fianco di Baglioni mentre quest’ultimo presentava il Festival al Ministro Franceschini. Fortunatamente a alleggerire il tutto anche la presenza del Tavecchio della discografia, Enzo Mazza, e di altri soggetti che con la SIAE sono assai legati. Considerando la presenza oggi nel mondo della gestione dei diritti anche di Soundreef, e considerando che l’anno scorso furono eliminati tutti gli artisti che a quest’ultima avevano aderito, da Al Bano, in gara con un brano del maestro Maurizio Fabrizio, a Nesli, passando per Gigi D’Alessio, vien da dire a Enrico Ruggeri, da poco passato alla società di Davide D’Atri “Fortuna che quest’anno non c’è l’eliminazione, se no ti conveniva prenotare l’albergo fino a venerdì.” Del resto, staremo a vedere, sarà curioso vedere a che ora collocheranno i Decibel in scaletta, suppongo verso le due di notte.
Comunque, lo avete capito, ci sono diverse incongruenze, alle quali si aggiungono i molti dubbi di chi si occupa di televisione, a partire appunto dall’assenza delle donne in gara, che faranno sicuramente mancare quell’aura di leggerezza e glamour anche per quel che riguarda il fronte estetico. Pensate a quei poveri stylist, e a chi si occupa di trucco e parrucco, oltre di chi ne scrive. La morte nera.
Noi saremo al Festival per raccontarvelo, attraverso un diario quotidiano, e per vigilare, come moderni Savonarola pronti a dire ogni due per tre: “Ricordati che devi morire”. Ah, non dimentichiamocelo, la figa la porto io.