Quando le civiltà spariranno, le città saranno sepolte dalle rovine e le leggi scomparse, le scorie nucleari stoccate nei siti appositi saranno ancora lì. Incustodite e alla mercé di chiunque. Come impedire che vengano riesumate? Come impedire, al curioso passante che tra 10mila anni si aggirerà da quelle parti, di entrarne in contatto? Come avvertirlo?
È un problema che, a ben guardare, si pongono in pochi. Al giorno d’oggi esiste un segnale universale in grado di avvertire tutti del pericolo. Inventarlo, come si racconta in questo video, non è stato semplice. Il team che si è concentrato sulla questione, nel 1966, aveva elaborato alcuni parametri fondamentali: doveva colpire la vista (per cui niente simboli geometrici semplici, quelli che, ad esempio, venivano impiegati nelle forze armate americane per segnalare i siti a rischio radioattivo), non essere ambiguo (niente che fosse già visto, o già noto) ma, al contrario, essere riconoscibile al volo, simmetrico, facile da riprodurre. Non fu facile: dovevano creare un segno “memorable but meaningless”, cioè “che si imprimeva nella memoria ma non ricordasse altri significati”. Alla fine, dopo una serie di esperimenti e ricerche, si arrivò a questo:
Funziona? Sì. È di facile comprensione? Sì. Ricorda qualcos’altro? No. Ha solo un problema: non durerà per sempre.
È il dilemma degli scienziati. Come fare a creare un segno, un codice, in grado di essere compreso anche tra 10mila anni? Bella domanda. Per arrivare a una soluzione si sono rivolti anche a fisici, antropologi, storici, esperti del linguaggio. Il trust di cervelli così radunato ha pensato di creare una sorta di “manuale di istruzioni” fatto a vignette. Idea subito scartata perché troppo dipendente dalle abitudini culturali (leggere da destra a sinistra, comprendere il senso di causa ed effetto, capirne il lato simbolico). Allora si è immaginato di creare delle strutture respingenti: campi di punte aguzze in grado di tenere lontani i più curiosi. Come questi:
Ma anche qui, non basta. Come si può essere sicuri che strutture del genere non siano, oltre che un avvertimento, anche un’attrazione? Non lo si può essere. E poi devono durare almeno 10mila anni. Si vedono bene come sono ridotte le strutture arrivate a oggi vecchie di qualche migliaio di anni. E allora che si fa?
Nel 1984 un studioso di lingue, Thomas Sebeok, ha proposto di creare un “sacerdozio atomico”, una sorta di setta segreta destinata a trasmettere, di generazione in generazione, la mappa dei siti nucleari e impedire alle persone di provare ad accedere. Ipotesi affascinante (forse influenzata dalla lettura de Il nome della rosa), ma di difficile attuazione. Un filosofo francese e uno italiano, Georges Bastide e Paolo Fabbri, propongono di creare dei gatti bioluminescenti, modificati a livello genetico per illuminarsi se arrivano nelle vicinanze di un sito nucleare. Insieme, si devono inventare canzoni, storie e leggende sui gatti luminosi, segno di pericolo e di cattiva sorte, quasi per far nascere una superstizione. Ma anche qui, il rischio è di confidare troppo nella capacità umana di trasmettere idee e tradizioni.