Evviva il “kottabos”, il gioco greco in cui ci si tirava vino addosso

Era un gran divertimento, un drinking game prima che esistessero i drinking game. Lo scopo era far cadere un piatto posizionato su un palo a furia di gocce di vino. Ma era troppo caotico, non poteva durare

I drinking game non sono certo un’invenzione anglosassone. Tutte le culture, in qualche modo, hanno giocato con gli alcolici: è sempre stato, fin dall’antichità un pretesto, più o meno necessario, per ubriacarsi alla grande. Questo per dire che, prima degli inglesi, lo facevano i greci. Forse in un modo un filo più raffinato.

Il gioco in questione si chiamava kottabos: non si beveva, ma si lanciava vino. Non a caso. Al centro della stanza veniva posizionato un palo, piuttosto alto, e in cima si metteva un piatto. L’obiettivo era di farlo cadere, sbilanciandolo con le gocce di vino lanciate in alto con il calice. I partecipanti, riuniti a cerchio intorno al palo, tiravano una volta a testa. E il vincitore si aggiudicava il premio in palio: poteva essere un dolce, o una mezza prestazione sessuale (in queste feste partecipavano, quasi sempre, anche delle prostitute).

Per chi non si voleva macchiare troppo – cosa che capitava sempre – esisteva anche una versione più civile, meno rumorosa (e più noiosa). In una bacinella, sempre posta al centro della stanza, venivano messi a galleggiare dei vasi vuoti. L’obiettivo era di farne affondare uno, sempre a colpi di vino.

Non era un gioco semplice, comunque. Il tiratore, in genere, doveva restare sul divano, appoggiato su un gomito. Con l’altra mano infilava le dita nel manico della coppa e la maneggiava come fosse un giavellotto, lanciando in alto il vino. Il tutto richiedeva una cerca agilità, un gesto tecnico preciso, e molta concentrazione. Necessaria, soprattutto perché dopo un paio di bevute la qualità delle prestazioni tecniche cominciava a calare. Ma era il bello del gioco. Ogni lancio poi era un brindisi: alcuni brindavano al buon esito del tiro, altri al proprio amante. Una etera (forma di prostituta greca), come si racconta, brindò al fallo corinzio.

Insomma, il kottabos era un grande divertimento, ma anche un enorme caos. Si rischiava di macchiarsi, di macchiare gli altri (non sempre il lancio del vino andava a buon fine, anzi), e, come è ovvio, di devastare il pavimento. Vennero create delle stanze apposite, ma non bastò. Alla lunga i difetti del gioco superarono i suoi pregi: l’ambiente da ripulire, la biancheria da rifare, le liti (inevitabili). Fu un bel gioco, che, dopo qualche tempo, nessuno ebbe voglia di fare a casa sua.

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