Com’è quella faccenda degli indizi e delle prove?
Due indizi fanno una prova, se non sbaglio.
Bene, nel caso che andiamo ad affrontare in questo articolo abbiamo addirittura tre indizi, quindi il discorso dovrebbe filar via liscio.
Primo indizio, la canzone Ognuno ha il suo racconto è stata, senza ombra di dubbio, la più orecchiabile della sessantottesima edizione del Festival della Canzone Italiana. Quella, in sostanza, che risponde alle tipiche caratteristiche che un tempo erano richieste alle canzoni in gara alla kermesse rivierasca. La ascolti una volta e ti ritrovi a fischiettarla e canticchiarla, doccia o non doccia. Chiaramente, un riff vocale che omaggiava Mrs Robinson di Simon & Gartfunkel, un tiro power rock magari un po’ troppo anni Novanta, ma decisamente vitale in un festival altrimenti molto ballad-oriented, e una melodia pulita in grado di rendere onore a una voce notevole come quella di Red Canzian hanno fatto il resto.
Sì, è vero, ancora non lo avevamo neanche citato, è di Red Canzian che stiamo parlando, il titolo ve lo aveva già detto. Di Red Canzian e del suo nuovo lavoro di studio, Testimone del tempo, vera e propria ripartenza dopo la chiusura dell’avventura dei Pooh.
Secondo indizio, la terza traccia dell’album in questione, la ballad La notte è un’alba, il cui testo è stato scritto da un ispirato Ermal Meta, si legga il passaggio “La notte è un’alba con gli occhi chiusi/ Se aspetti un po’ li riaprirà” per credere, è impreziosito da un solo al fretless bass di quelli che ti riconciliano con la musica suonata. Un vezzo, quello del tipico modo di suonare di Jaco Pastorius, cui i fan dei Pooh sono stati abituati negli anni, ma non per questo meno suggestivo oggi, in epoca di musica compressa da ascoltare con le cuffiette nel cellulare. Musica compressa che, in genere, rinuncia proprio al suono del basso, inascoltabile con quei supporti. Un regalo per chi ama i dettagli, ma più semplicemente per chi ritiene che le canzoni siano fatte non solo dalla linea melodica, dall’armonia, dal ritmo, dalla dinamica, ma anche dai suoni.
Terzo indizio, la canzone Eterni per un attimo comincia con un arpeggio di sitar. In Italia in pochi maneggiano lo strumento a corde di origine indiana. Pochissimi lo maneggiano a alti livelli. Uno di questi è Aldo Tagliapietra, fondatore e a lungo leader de Le Orme, una delle nostre eccellenze musicali nel mondo. È lui a suonare il sitar in questa canzone che ci racconta dell’epoca in cui Red e lo stesso Aldo muovevano i primi passi nel mondo della musica e della cultura, o meglio, muovevano i primi passi nel mondo. È lui a entrare al canto nella seconda strofa, non a caso citando “Ginsberg, Kerouac e Hemingway”, evocati dall’autore del testo Fabio Ilacqua come icone di uno spirito libero e puro che oggi si fatica a ritrovare. Un album del 2018 che non solo presenta un vero sitar, ma che ha come featuring il cantante di una band che quest’anno festeggerebbe i cinquant’anni di vita. Primi a aver pubblicato un album dal vivo, per dire. Tanta roba.
Tre indizi. Più che una prova.
Ma servisse un quarto indizio, eccolo: Cantico, il brano finale dell’album, è una suite prog di circa nove minuti, arrangiato da Phil Mer, batterista in svariate formazioni italiane, da Ruggeri agli stessi Pooh, nonché figlio dello stesso Red, orchestrato da Renato Serio, con un testo di Renato Zero e Vincenzo Incenzo. Una sorta di piccola opera pop che ci parla della Terra e dell’uomo, tanto per gradire. Musica d’altri tempi, ma talmente eterna e classica da andar bene, anzi, benissimo, anche oggi.
Quattro indizi sono decisamente tanti, ben più dei due indizi che fanno una prova citati in esergo.
E i quattro indizi ci dicono tutti la stessa identica cosa, che Red Canzian ha tirato fuori un album importante, non solo e non tanto per la sua carriera, quanto per la musica italiana. Perché ha tirato fuori un album che mette traccia dietro traccia un principio che oggi sempre non tanto raro quanto introvabile, la cura per i dettagli, per i suoni, per gli strumenti che devono essere quelli giusti, e quelli veri, fregandosene apertamente delle regole non scritte del nuovo mercato. Quel mercato che tende di sua natura alla sciatteria di chi sa suonare solo il computer, che ricorre ai plug-in, invece che ai turnisti, che cerca soluzioni alla moda, i soliti suoni di moda, anche se spesso di moda un paio di anni fa, che pensa di proporre qualcosa di contemporaneo solo perché così suonano le hit che passano in radio, tutte giocate su tre accordi e sulle quattro linee melodiche che su quei tre accordi girano.
Se vi siete sballati come chi scrive ascoltando Amico di ieri de Le orme, e poi avete avuto un orgasmo cerebrale con Sowing the seeds of love dei Tears for Fears, brano in cui Roland Orzabal e Curt Smith celebravano nell’arco di circa cinque minuti tutto l’universo bealtesiano, bene, con Eterni per un attimo non potrete che godere profondamente
Red Canzian è un uomo del Novecento, su questo non ci sono dubbi, e ha deciso che per presentare al pubblico la sua carriera solista, il suo secondo tempo, non poteva che mettere una dietro l’altro le tredici canzoni che compongono la tracklist di Testimone del tempo. Brani di cui Red è compositore, fatta eccezione per Reviens moi, uscita dalla penna di Busbee, autore tra le altre di Try di Pink, e di Meravigliami ancora, di D.J. Ford, con parole prestate da amici di vecchia e nuova data, da Enrico Ruggeri, a Miki Porru, passando per Ivano Fossati, Fabio Ilacqua o Ermal Meta. rimasta nel cassetto, in attesa di poter vedere la luce oggi.
Prendiamo proprio Eterni per un attimo. A sentirla non si può che pensare ai Beatles, questo ci dicono i suoni messi in campo, questo ci dice la melodia aperta.
Ecco, lo dico, se vi siete sballati come chi scrive ascoltando Amico di ieri de Le orme, e poi avete avuto un orgasmo cerebrale con Sowing the seeds of love dei Tears for Fears, brano in cui Roland Orzabal e Curt Smith celebravano nell’arco di circa cinque minuti tutto l’universo bealtesiano, bene, con Eterni per un attimo non potrete che godere profondamente. Perché questa canzone è quanto di più vicino a quel mondo che vi possa venire in mente oggi. Una canzone a suo modo nostalgica, ma con la serenità di chi sa di essere sì invecchiato, ma per il semplice fatto di aver vissuto.
Nessun rimpianto per il tempo che è passato quindi, ma la percezione che quel tempo passato sia ancora tutto qui, sotto i nostri occhi.
Ecco, Red Canzian a sessantasei anni è ancora qui, nonostante un passato musicale anche ingombrante, nonostante, soprattutto, una malattia che qualche anno fa ha rischiato di farlo morire. È ancora qui e ha deciso di mettere ancora una volta la musica al centro. Partendo dagli strumenti, si legga la cura con cui nel booklet specifica a ogni traccia che strumento, rigorosamente vintage, ha usato. Partendo da messaggi semplici ma al tempo stesso universali come quelli raccontati nelle canzoni, da una visione pacificamente vegana e etica dell’approccio al rapporto con la natura a uno sguardo sui sentimenti, amorosi e non, appunto rasserenato.
Due aspetti fondamentali, cura per la musica e semplicità dei messaggi, entrambi da tenere bene a mente.
Cura per la musica. Qualcosa che oggi, in epoca di “casalinghitudine” per scelta, non certo per necessità, sembra una scelta estetica fuori tempo massimo, ma che invece dimostra come l’amore per la musica sia uno dei capisaldi su cui la nuova classicità, anche in ambito pop, non può che fondarsi. Materie prime pregiate, ricette testate nel tempo, cura nella preparazione, quel tocco personale che solo il talento mischiato al mestiere consentono, fossimo in cucina è chiaro che staremmo parlando di alta cucina, normale quindi che si guardi al pop di Testimone del tempo come a un pop alto, da maneggiare con cura e amorevolezza.
Semplicità dei messaggi. La cura nella ricerca delle parole attuato dagli amici chiamati a scrivere per lui, e al tempo stesso la semplicità a volte anche solo apparente dei messaggi è qualcosa che oggi, in epoca di haters e di polemiche un tot al chilo, di stranezze messe una dietro l’altra più per vezzo che per stile, sembra aria pura, di quelle da inalare con la mascherina mentre si è in mezzo al traffico, chiusi dentro la nostra macchina Euro 3. Semplicità dei messaggi, infatti, non implica banalità, tutt’altro. Le parole adatte alle liriche sono quelle giuste, perfette per appoggiarsi sulle melodie, capaci di veicolare messaggi e di raccontare le storie che Red ha voluto mettere dentro l’album. Semplicità come quella di un contadino che sa come si maneggia la terra, più facile a dirsi che a farsi, provare per credere.
So che questo sembra l’ennesimo discorso luddista, da vecchio brontolone nostalgico, di quelli che si stava meglio quando si stava peggio. Ma sentite la voce cristallina di Red, poi pensate al primo coglione che passa che usa l’autotune. Sentite l’organo simil-Lowrey alla Lucy in the sky with diamonds che accompagna il sitar di Tagliapietra in Eterni per un attimo, poi pensate ai “synthi” delle canzoni indie, scusate la citazione dotta. Sentite come Red scandisce ogni singola sillaba, senza sbagliare gli accenti, senza tradire, quindi, l’origine geografica, proprio come si insegnava una volta, quando la discografia era una cosa seria.
Ecco, è come se Red soffrisse di una strana forma della sindrome di Tourette, che invece che fargli dire parolacce e parole a raffica, lo spinge costantemente a sottolineare come la musica possa ancora oggi essere una cosa seria, di qualità pur rimanendo leggero, profonda e al tempo stesso semplice.
Testimone del tempo non è una fotografia dell’oggi, forse. Ma è una proiezione di cosa l’oggi dovrebbe essere. Una visione partorita da un sessantaseienne, certo, ma un ottimo messaggio in bottiglia per le nuove generazioni. Un testimone, appunto, come quello delle staffette. Nella speranza che ci sia qualcuno con abbastanza fiato nei polmoni per prenderlo e proseguire la corsa.