Il nuovo pop italiano? Troppi follower, pochi fan (e pochi soldi)

I fenomeni nascono sul web ma faticano a uscirne: il pubblico si affeziona ma il più delle volte lo fa per moda che per reale interesse: questo impedisce ai nuovi artisti, diventati famosi, di essere anche grandi

I social network hanno fatto emergere col botto molti artisti della nuova scena italiana, ma lo stesso pubblico che li ha messi sul piedistallo spesso si rifiuta di farli diventare grandi non appena vede crescere il prezzo del biglietto. Quanti follower sono realmente fan?

Che vi piaccia o meno, negli ultimi anni la musica italiana ha visto crescere la possibilità di un nuovo pop, nato al di fuori dei classici canali dello star system televisivo. Calcutta, Carl Brave x Franco 126, Gazzelle: questi sono alcuni dei nuovi nomi che, nel giro di pochissimi mesi dall’esordio, sono passati dai piccoli club ai grandi locali con date subito sold out. Si parla di una fetta di pubblico non indifferente, per esemplificare la situazione con un po’ di numeri: quattro sold out all’Atlantico di Roma (capienza 2500 persone a serata) per il tour invernale del duo romano Carl Brave x Franco 126, che giusto la scorsa estate viaggiava su cifre almeno cinque volte più piccole, ma comunque altissime considerando che il debut album Polaroid è stato pubblicato a maggio 2017. Una crescita di fama esponenziale nel giro di pochissimo tempo.

Grazie a chi? Ai social, a Spotify, alla moda del momento e sì, pure al fatto che questi nuovi artisti italiani sanno parlare al pubblico in un modo differente e meno artefatto (come succede da sempre nel rap). Comunicare è un’arte, e farlo usando il linguaggio del web attira su di sé un’attenzione spesso difficile da mantenere nel lungo periodo. Il rischio è che buona parte delle persone sui social si interessino ad un artista solo finché è il trend del mese: quelli che restano passato il periodo di boom sono i fan, tutti gli altri possiamo chiamarli semplicemente follower.

La prima cosa che si nota di questa nuova scena italiana è l’età del pubblico: eccezione fatta per qualche curioso e addetti ai lavori, i locali vengono riempiti soprattutto da ragazzi molto giovani – tra i 18 e i 25 anni – ai quali spesso manca una solida conoscenza musicale di ciò che è avvenuto prima, ma che si rispecchiano moltissimo in queste nuove uscite. Ok, quello che va forte in Italia non è di certo niente di troppo sperimentale o da cultori della tecnica. Questa premessa non intacca il fatto che comunque è tutto molto bello, che finalmente ci sono delle valide alternative al vecchio schema “successo = tv”. Tutto molto bello, se non fosse che poi il meccanismo si inceppa.

Mentre il numero di follower continua a crescere a dismisura (il paragone è impari, ma stando ad Instagram Calcutta è più famoso di Carmen Consoli), arriva il momento in cui la nicchia che gli ha dato la “fama” pare rivoltarsi su se stessa: “qui sei nato e qui devi restare, ti do i miei like ma non ti do i miei soldi”.

Proprio Calcutta è stato recentemente al centro di molti dibattiti, social e non, sul costo dei biglietti delle due nuove date annunciate: Arena di Verona e Stadio Francioni di Latina (sua città natale). Sono due date simboliche, espressione del sogno di diventare grandi. Stando alla logica, i fan, i seguaci della nuova ondata di musica italiana, dovrebbero essere felici di sostenere un tale traguardo, no? Ecco, no.

Internet è diventato nel giro di poche ore una replica del teatrino di indignati per i sacchetti del supermercato. Si dà il caso che un concerto all’Arena di Verona abbia dei costi di produzione esponenzialmente più elevati rispetto a un semplice club, di conseguenza il costo dei biglietti (che va dai 20 ai 40 euro + d.p.), è proporzionato al costo delle strutture. Stessa polemichetta è stata fatta per l’eporediese Cosmo: il biglietto per il suo set costa 23 euro e pare che la presentazione del suo nuovo album Cosmotronic non sarà un semplice concerto, ma una vera e propria festa stile discoteca, con dj set a seguire e una particolare attenzione al light design. Tutto questo avrà un costo più ampio e più persone che dovranno lavorare dietro ad ogni performance. Se ai costi ci aggiungiamo un minimo margine di guadagno, ecco giustificati i prezzi.

Questo è un discorso che il pubblico dei cantautori “classici” capisce senza batter ciglio, ma i giovani dall’attitudine indie sono i nuovi anziani che fissano i cantieri, la madre che non permette al figlio di trovare la propria strada lontano da casa. Tutto pare ridotto a un discorso di apparenza e torna alla mente la scena di Ecce Bombo in cui un giovane Nanni Moretti al telefono è alle prese col dilemma “mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”.

La musica veicolata dal web si sta avvicinando ad avere i grandi numeri della fabbrica del pop e del cantautorato vecchio stampo, a volte pure sfacciatamente più alti, ma di certo non i soldi e nemmeno il target. Volente o nolente, tv e social sono ancora canali e realtà che si muovono su binari paralleli e giocano campionati diversi. La serie A è diventata uno stagno in cui continuano a nuotare gli stessi nomi di 15-20 anni fa: Laura Pausini, Tiziano Ferro, Ramazzotti, Elisa, Jovanotti e pochissime novità o entrate in scena. Tutto ciò che è fermento artistico che viene dal basso resta in serie B, con chi ti viene a vedere solo finché va di moda, è gratis o al massimo costa 15 euro. Però tranquilli, vi seguono su Instagram.

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