La partita più importante ed incerta di questa campagna elettorale si gioca al Mezzogiorno; ed è una partita alla quale il Partito Democratico neppure partecipa, tagliato come dicono tutti i sondaggi, dalla competizione nei collegi uninominali tra Centro Destra e M5S. Anzi, come commentava il Professor Vassallo qualche giorno fa, il PD è costretto da spettatore a sperare che al Sud vincano gli odiati “grillini” perché altrimenti Berlusconi andrebbe a conquistare proprio sotto il Garigliano i seggi in grado di portarlo alla maggioranza, anche senza il 40%. Il Partito Democratico che è, ancora, primo al Centro e ha possibilità nel Nord, è al Sud che rischia la sconfitta finale.
Ed allora è importante capire cosa è successo e perché è dal Mezzogiorno che il PD dovrebbe cominciare un’autocritica seria.
Sono i numeri a raccontare che mentre la stagione della “rottamazione” ha raggiunto risultati su altri fronti, al Sud la svolta non c’è mai stata. Quelli più impressionanti sono forniti dall’Ufficio Statistico dell’Unione Europea (EUROSTAT) sui tassi di occupazione che meglio fotografano la capacità di una società e di un’economia di includere (più di quelli di disoccupazione che possono sottostimare il problema se, come succede in Italia, sono tanti quelli che il lavoro non lo cercano più).
Dunque la Calabria, la Sicilia, la Campania e la Puglia riescono ad essere tutte e quattro tra le sei Regioni europee che hanno i più bassi tassi di occupazione tra le 270 nelle quali l’EUROSTAT divide l’Unione Europea per seguirne i principali indicatori. Con le quattro grandi Regioni del Sud ci sono due dipartimenti d’oltre manica francesi; molto meglio fanno la Romania, la Bulgaria e la Grecia. Ancora peggiori sono i tassi di occupazione nella fascia di età tra i 25 e 34 anni (che è migliore del “tasso di disoccupazione giovanile” che essendo relativo alla fascia 15 – 24 anni è influenzato dagli studenti). Calabria, Sicilia e Campania – tutti e tre con valori inferiori al 40% – sono agli ultimi tre posti assoluti anche se si allarga il confronto, come fa EUROSTAT, alla Turchia, all’Albania e al Montenegro. Da nessuna parte – persino in un’Europa allargata ai Paesi che hanno chiesto di farne parte – sono meno di 4 su 10 i trentenni che lavorano. Nei Paesi dell’area del famigerato EURO sono quasi otto. Ciò che però è grave è che, nell’ultima legislatura questi numeri sono assai peggiorati: in Calabria c’è stato un crollo verticale dal 44 al 36%; in Puglia dal 52 al 45%. Ed è evidente che i giovani del Sud costituiscono il peggiore incrocio possibile per il PD.
Sono negativi anche gli altri numeri che, periodicamente, fornisce la SVIMEZ (c’è una leggerissima ripresa del PIL ma continua a scendere la produttività), ma sono quelli che vanno incidere sulla capacità di crescita di lungo periodo a dire che il Sud sta (come dice tragicamente qualcuno) “morendo”. Nel Sud sono diminuite nell’ultima legislatura, persino, le esportazioni (meno 9%, mentre nel resto d’Italia salivano del 9%) e scendono gli occupati che per ISTAT lavorano in settori ad “alta tecnologia” (meno 12% mentre sono aumentati nel Centro Nord del 6%). Paradossalmente l’unico meccanismo che evita ulteriori peggioramenti nel reddito per abitante, è che il numero di abitanti è stato – in questi ultimi cinque anni – fermo (mentre in Italia è aumentato anche grazie agli immigrati) e che la normale “botte demografica” sta diventando una piramide rovesciata con i giovani che scappano e i pensionati che rimangono con redditi più stabili.
E allora non è a caso che il PD (e un’intera stagione della politica) rischi di trovare a Enna e a Caserta la propria più grave sconfitta. La colpa grave è di non essersi neppure accorti che venti milioni di persone sono seppur in diminuzione, sufficienti a scrivere la parola fine ad una stagione politica. Come in altri tempi lo furono per assicurarne la sopravvivenza.
Un deserto. Con l’eccezione di non poche coraggiose, intelligenti imprese, associazioni e territori che sono riusciti a trovare una propria specializzazione. Nell’indifferenza generale. Per il resto un deserto, proprio come quello dei Paesi dai quali arrivano i barconi.
Eppure non è che sono mancati a questi ultimi Governi la leva per “cambiare verso” alla questione più antica d’Europa.
Si è dovuto scomodare l’Economist in un articolo di due mesi fa, per ricordare al mondo che solo per il periodo che dal 2014 al 2020, l’Italia ha avuto a disposizione dalla Commissione Europea una quantità di soldi (42 miliardi di EURO che per due terzi vanno alle Regioni del Sud) che sarebbero sufficienti – se li distribuissimo a tutti quelli che risiedono nel Sud senza intermediazioni da parte delle amministrazioni – a far crescere il PIL del Mezzogiorno dell’1,7% più di quello del resto d’Italia.
Ed invece, basta andare sulla “home page” del sito della Direzione della Commissione Europea che si occupa dei fondi strutturali per rendersi conto che, di nuovo, l’Italia riesce ad essere ultima. Ultima su ventotto paesi (la Grecia è al primo posto) per velocità di spesa e che di quei 40 miliardi della Commissione siamo riusciti a utilizzarne meno di mezzo quando abbiamo superato la metà del periodo (2014 – 2020) nel quale vanno spesi. Laddove – ed è più grave – anche quando li spendiamo, gli indicatori macroeconomici e gli elettori del Sud non se ne accorgono.
Non sono i soldi che mancano al SUD: sono le competenze scarse di chi se ne occupa e la necessità degli specialisti in mezzogiorno che i problemi durino in eterno perché non saprebbero cosa fare se quei problemi fossero risolti.
E allora non è a caso che il PD (e un’intera stagione della politica) rischi di trovare a Enna e a Caserta la propria più grave sconfitta. La colpa grave è di non essersi neppure accorti che venti milioni di persone sono seppur in diminuzione, sufficienti a scrivere la parola fine ad una stagione politica. Come in altri tempi lo furono per assicurarne la sopravvivenza.
È inconcepibile non essersi accorti della inadeguatezza di buona parte dell’amministrazione centrale e locale che gestisce politiche complesse e lasciarli tutti al loro posto senza uno straccio di meccanismo di valutazione delle prestazioni e di ricambio. È assurdo essere rimasti appesi sempre agli stessi consulenti (quelli che hanno accompagnato le amministrazioni da un fallimento ad un altro) solo per scoprire – grazie ad una sentenza dell’ANTITRUST di qualche settimana fa e di un’inchiesta della magistratura – che quei consulenti erano riusciti a fare cartello spezzando sul nascere qualsiasi ipotesi di concorrenza. È strano, persino, che il povero ministro PADOAN sia stato costretto – anno dopo anno – a battagliare a BRUSSELS per poter spendere qualche miliardo in più di soldi italiani, mentre gli italiani non riescono a spendere decine di miliardi di soldi europei. E che il pur bravo Ministro Calenda si sia dovuto spendere per il Ministro (De Vincenti) che è stato il più diretto responsabile del SUD e che Renzi si sia sentito in dovere di correggere la dimenticanza candidandolo (a Sassuolo mica a Matera). Ed infine è abbastanza suicida che un intero Paese ed i suoi media non trovino il tempo di occuparsi di una questione che riguarda un terzo dei suoi abitanti e che all’ECONOMIST nessuno senta nemmeno di dover rispondere.
Sarà noioso il SUD. Con le sue lamentele. Una noia infinita di intensità uguale e direzione opposta a quella dell’ultima serie di GOMORRA (che è parte del problema). Di certo però è che alla più antica questione d’Italia è legata la possibilità stessa che questo Paese abbia un futuro e che un ciclo politico possa durare più di cinque anni.