La pazza idea di Erdogan: una crociata col Papa contro Israele

La visita del premier turco in Vaticano ha motivazioni precise. Erdogan vuole accreditarsi come leader del mondo islamico, e cerca di fare perno su Bergoglio perché si unisca a lui in una azione comune ai danni di Israele

Cavallo pazzo Erdogan non è mai a corto di idee. L’ultima, quella che oggi lo porta a incontrare Papa Francesco in Vaticano, finisce dritta nella top ten delle più spettacolari. Facciamo un piccolo elenco delle ragioni. Primo: Recep Tayyep Erdogan è il primo presidente della Turchia a chiedere di essere ricevuto dal Papa. Secondo: il precedente più recente risale al 1959, quando tra i due Stati ancora non c’erano vere relazioni diplomatiche e la visita del presidente Celal Bayar a Papa Giovanni XXIII (che era stato delegato apostolico in Turchia dal 1934 al 1943) diede l’impulso decisivo a quei rapporti, che furono appunto formalizzati l’anno dopo. Terzo: poco più di due anni fa, nella primavera del 2015, il Rais insultava (“Delirio”) e minacciava Papa Francesco (“Avverto il Papa di non ripetere questo errore, e lo condanno”), ai suoi occhi colpevole di aver ricordato le stragi compiute dai turchi ai danni degli armeni cent’anni prima, nel 1915, come il “primo genocidio del Novecento”. Affermazione storicamente impeccabile ma insopportabili alle orecchie dei turchi e allo spirito nazionalista incarnato da Erdogan, che infatti spinse la questione fin sull’orlo della rottura delle relazioni diplomatiche.

Quindi: che ci fa, ora, un leader simile in Vaticano? Perché il Rais sente l’esigenza di incontrare Francesco e in qualche modo accetta di rendere omaggio alla statura di questo Papa, da tutti riconosciuto come un punto di equilibrio nelle intricate relazioni internazionali, l’uomo capace di mediare la pace tra gli Usa e Cuba, far pregare insieme Shimon Peres e Abu Mazen, accendere un potente riflettore morale sul commercio delle armi, ottenere il rispetto del mondo islamico, farsi protettore dei cristiani perseguitati nel mondo e insieme di tutte le minoranze discriminate e oppresse? Che cosa spera di ottenere, Erdogan?

L’unico punto possibile di contatto tra i due, oggi, sembra Gerusalemme. Papa Francesco aveva espresso “grande preoccupazione” per la sorte della città Santa. Erdogan, invece, ha battuto un’altra strada. Fiutando l’occasione, ha tentato di calarsi nei panni del leader del mondo islamico del Medio Oriente, oltre che di vindice dei diritti dei palestinesi

L’unico punto possibile di contatto tra i due, oggi, sembra Gerusalemme. Papa Francesco aveva espresso “grande preoccupazione” per la sorte della città Santa anche prima che Donald Trump annunciasse che per gli Usa era venuto il momento di riconoscerla come capitale dello Stato di Israele. Le reazioni sono state vivaci anche fuori dal Medio Oriente, perché le Nazioni Unite e il diritto internazionale da decenni giudicano Gerusalemme Est “territorio occupato” (dopo la guerra del 1967) e bollano come illegali tutti gli atti commessi dallo Stato ebraico per annettersi la città intera.

Dopo lo sdoganamento politico che Trump ha offerto alla strategia israeliana degli insediamenti, papa Francesco ha ribadito la tradizionale posizione vaticana, enunciata già nel 1949 da papa Pio XII con l’enciclica Redemptoris Nostri Cruciatus: Gerusalemme deve restare una città internazionale sotto il controllo dell’Onu.

Erdogan, invece, ha battuto un’altra strada. Fiutando l’occasione, ha tentato di calarsi nei panni del leader del mondo islamico del Medio Oriente, oltre che di vindice dei diritti dei palestinesi, e ha convocato a Istanbul una conferenza politica per proclamare che Gerusalemme Est dev’essere la capitale dello Stato indipendente di Palestina.

Come spesso gli capita, però, gli è andata male. Il Medio Oriente non è così voglioso di averlo come guida. Le monarchie del Golfo Persico, legate a doppio filo agli Usa e sempre più anche a Israele, gli hanno voltato le spalle. Per finire, la temuta sollevazione dei palestinesi, che con la sicura repressione israeliana avrebbe fornito ulteriore spazio di manovra, non c’è stata. Così Erdogan è rimasto con il cerino in mano.

Erdogan non avrà la sua crociata, quindi. È invece possibile che torni a Istanbul con un foglietto di appunti firmato papa Francesco

Prima di arrivare a Roma, Erdogan ha ammorbidito le proprie posizioni e ha parlato di mantenere lo status quo a Gerusalemme. Ma è trasparente, in questo viaggio in Vaticano, il desiderio di “arruolare” il Papa in una specie di crociata islamo-cristiana per la liberazione politica e morale di Gerusalemme, contro gli usurpatori israeliani e i loro sponsor americani. Contando, forse, sullo spirito di Francesco, del tutto indipendente dai poteri mondani, sul suo amore per la Terra Santa e sullo spiccato senso della giustizia che lo anima. Il che tra l’altro permetterebbe al Rais di accreditarsi come leader tollerante e disposto al dialogo, anche e soprattutto con il mondo cristiano.

Naturalmente papa Francesco la sa più lunga di così. La battaglia per Gerusalemme è sacrosanta ma ha tempi lunghi, richiede un consenso internazionale e certo non può essere ingaggiata sotto o accanto le insegne del neo-ottomanesimo su cui Erdogan ha costruito molte delle proprie fortune politiche. E poi la medaglia dialogante di Erdogan nasconde sempre un’altra faccia, meno simpatica. La preoccupazione per l’oppressione subita dai palestinesi e per la violazione del diritto internazionale stride con l’oppressione da lui esercitata sui curdi, ora attaccati anche nel territorio dello Stato sovrano di Siria. E la volontà di dialogo fa a pugni sia con la questione curda sia con la situazione della chiesa latina in Turchia, priva persino di quel riconoscimento giuridico di cui già dal 1923 invece godono le Chiese armena, siriaca e caldea. Riconoscimento cui Erdogan, al potere da venticinque anni, non ha mai nemmeno fatto cenno.

Tale situazione equipara la Chiesa a una qualunque iniziativa privata e le impedisce di svolgere molte attività, anche in campo benefico. Per esempio quelle a favore di decine di migliaia di profughi cristiani arrivati in Turchia dalla Siria e dall’Iraq. Moltissimi di loro, per fare un solo esempio, in patria scampati per miracolo all’islam radicale o terroristico, vorrebbero delle scuole “normali”, perché temono che la scuola statale turca, dove i temi della religione islamica trovano sempre più spazio, possa indottrinare i loro ragazzi. Le parrocchie potrebbero aprire tali scuole ma è loro vietato farlo.

Erdogan non avrà la sua crociata, quindi. È invece possibile che torni a Istanbul con un foglietto di appunti firmato papa Francesco.