Preparatevi alla ruffianeria: il Sanremo di Baglioni sarà il più conformista di sempre

Tolta la satira politica e qualsiasi personaggio corrosivo, il “sagrestano del Festival” si accinge a presentare l'edizione di Sanremo più conformista di sempre. La storia di Baglioni insegna

Se l’intenzione della Rai era quella di allestire un Sanremo pre-elettorale inoffensivo, incolore e insapore, la scelta di Claudio Baglioni allora è perfetta. “Sarò il sagrestano del Festival”: queste le prime parole, elettrizzanti, pronunciate dall’artista appena incoronato direttore artistico e conduttore dell’evento in onda dal 6 all’11 febbraio su Raiuno. Roba da fare cancellare tutti gli impegni per incollarsi cinque sere alla tv.

Si vocifera che sia stato l’amico Fabio Fazio, con cui fece Anima mia, a sponsorizzare la sua presenza al Festival, e se diamo credito a queste voci immaginate che voglia abbiamo di seguirlo con trasporto, soprattutto dopo aver visto lo spot di Sanremo che ci tormenta in tv e anche nei cinema: Claudio Baglioni vestito da imbianchino che dipinge un 68, numero di questa edizione, un siparietto da pelle d’oca che fa venire voglia di devolvere i soldi del canone alla tv rumena.

L’Italia si avvia verso le elezioni politiche del 4 marzo: Sanremo non può e non deve turbare gli animi, offendere questo o quell’altro leader. Tutto deve scivolare senza intoppi e polemiche. Nessuna Virginia Raffaele, Crozza, Gnocchi, qualsiasi personaggio vagamente corrosivo o spiazzante, solo i sorrisi di Michelle Hunziker e Pierfrancesco Favino nel ruolo di valletto che fu di Gabriel Garko. Non sembra neppure un Sanremo di questo secolo, se si leggono i nomi dei cantanti, Vanoni, Ron, Facchinetti, Canzian, Fogli e tanti giovani vecchi. Colpo di grazia finale, Baglioni ha pensato bene, buono com’è, di abolire le eliminazioni dei Big in gara, da sempre elemento di pathos di ogni serata. Insomma, scintille.

Forse non tutti sanno che, da ragazzino, il soprannome del direttore artistico di Sanremo era “Agonia”, e dunque il timore che possa essere anche il destino dell’imminente kermesse è più che fondato. Glielo avevano dato gli amici del Prenestino, perché era il più “magro e bianco”. Lui, elegante e senza una ruga, invece si definisce “Bono e bello” e così la pensano anche le sue groupie. Pietrangelo Buttafuoco lo chiama l’Anti-Vasco: “Dorme coi bigodini perché vuole i capelli lisci come spaghetti”. Antonio Ricci, con la consueta moderazione, lo demolisce senza pietà: “Non lo reggo da quando ero ragazzo”, lo chiama “melensa creatura dalla maglietta fina che canta passerotto non andare via. Baglioni era il cantante preferito dei fascisti. Non lo sopporto. In uno spettacolo dissi anche che gli avrei tirato una molotov”. E ancora: “Ora se gli dai fuoco si sparge odore acre di plastica che semina diossina in tutto il Paese”. “Di fondo non penso sia uno disonesto”, conclude, “non è capace: il botulino gli intoppa i ragionamenti nel cervello”. Un bel ritrattino.

Forse non tutti sanno che, da ragazzino, il soprannome del direttore artistico di Sanremo era “Agonia”, e dunque il timore che possa essere anche il destino dell’imminente kermesse è più che fondato. Glielo avevano dato gli amici del Prenestino, perché era il più “magro e bianco”

Romano e romanista, classe 1951, sogno erotico delle ragazzine dagli anni Settanta, Baglioni è figlio di Riccardo, sottoufficiale dei Carabinieri, e di Silvia, sarta, entrambi di origini umbre. L’infanzia l’ha passata nel quartiere Monte Sacro di Roma, poi a Centocelle, in uno stabile in via dei Noci in cui nel 2007, per chiudere il trionfale tour Tutti qui, si è esibito dal balcone di una 87enne amica della madre. Un adorabile ruffiano.

E’ un bimbo solitario, senza fratelli perché sua madre spiega che “non aveva soldi abbastanza per comprarli”, allora lui di nascosto mette da parte qualche quattrino ma non basta mai. “I bambini sono rincarati”, gli dice mamma. Ha un animo delicato, si deprime quando scopre che tutti noi siamo destinati alla morte. Da quel giorno la sua vita cambia. Insomma, al suo confronto Giacomo Leopardi era il ritratto della gioia di vivere. Coltiva il desiderio di fare il prete: non avendo realizzato questo sogno nella vita, oggi minaccia di farlo a Sanremo.

Un ragazzino mite che pratica boxe, ma con una breve carriera, “finita quando ho colpito uno sul ring e ho continuato a scusarmi”. Si iscrive ad Architettura, inizia con i concorsi, poi le finali ai Lidi Canori, impara da solo a suonare la chitarra. Arriva “Signora Lia”, il primo album “Claudio Baglioni” sfonda solo in Bulgaria e Cecoslovacchia e la canzone “Notte di Natale” è giudicata troppo triste e viene ritirata.

Per fortuna arriva “Questo piccolo grande amore”, 18 milioni di copie, la canzone dei falò, dei primi amore, “il brano strappa-mutande”(Geppi Cucciari) che irrompe durante gli anni di piombo, in controtendenza rispetto ai cantautori impegnati (da qui, l’odio di Antonio Ricci). Nel 1985 diventa “la canzone italiana del secolo”.

Pare che fosse stata scritta per Paola Massari, una delle due donne della sua vita, con cui si lega negli anni Settanta e si separa a metà dei Novanta. Oggi la sua compagna è la manager Rossella. Ha un figlio di 35 anni, Giovanni, chitarrista apprezzato.

Politicamente si direbbe un Dc ma è indefinibile. “Se proprio devo collocarmi, diciamo che sono di centro”, risponde nel 2012. Ma l’anno prima, a Cazzullo dichiarava: In realtà sono sempre stato a sinistra, anche se non ero comunista, tantomeno maoista, ma riformista. Dicevano che fossi democristiano, perché a mia insaputa ero finito nel cartellone della campagna contro il divorzio, accanto ad Al Bano”. Piaceva alla destra, però. E’ amico di Casini, “una persona gradevole”. Ha cantato al matrimonio del figlio di Mastella. Insomma, si tiene buoni tutti. “Negli Stati Uniti sarei liberal, nella politica non mi ritrovo”.

E’ il primo connazionale a esibirsi negli stadi, canta in America, Usa, Canada. Tanti applausi ma tantissimi fischi. Torino, 1988: “buu” e lancio di ortaggi perché si esibisce a un concerto di Amnesty International dal forte significato politico. 17 aprile 2007, sempre a Torino: appare in tribuna per seguire Juve-Rimini, benché romanista.

Dopo “Strada facendo”, 1980, sta in silenzio 10 anni. Si ricicla in televisione nel ruolo di presentatore di “Anima Mia” con Fabio Fazio, 1997, show-nostalgia sugli anni Settanta.

Lancia il Festival musicale O’Scia nella sua Lampedusa, concertone con artisti internazionali per promuove il dialogo tra popoli. Canta per tutti i papi. Altra operazione ruffianissima, la serie di eventi live con Gianni Morandi dal titolo “Capitani Coraggiosi”. “Questi non sono concerti. Questi sono bagni pubblici di nostalgia orchestrati da quella vecchia volpe di Bibi Ballandi”, scrive Aldo Grasso. L’amico Gianni sarà sul palco di Sanremo per una super ospitata. “Ce la metteremo tutta, ma se alla fine andrà male, vi comunico che sono architetto, quindi ricordatevi di me se avrete bisogno di ristrutturare il bagno”, scherza Baglioni. Ci sarà anche Fiorello nella serata d’apertura: i due sono nati lo stesso giorno, il 16 maggio, e sono affiatatissimi. E poi Giorgia, Gino Paoli, Laura Pausini, Biagio Antonacci, Il Volo. “Non faremo un raduno degli alpini”, dichiara Baglioni in conferenza stampa, anche se l’impressione è proprio quella. Tutti amici di Claudio. Basta che ci risparmi Fazio, e va bene tutto.

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