A Buenos Aires sembrano tutti in fuga, tutti stranieri. Questo, forse, è affascinante. Una città impossibile costruita con genio europeo sulle sponde livide del rio de la Plata. Come addomesticare una anaconda. Come insegnare a un giaguaro a mangiare con forchetta, coltello e fazzoletto al collo. Tutti, a Buenos Aires, sono eredi di migranti. Sono di questa terra, ma hanno il cuore sepolto in un’altra, solo sognata, immaginaria. Per questo, c’è una specie di devozione ai lari della malinconia e quando cade, la sera, disintegra viali eleganti, palazzi, uomini. Il giaguaro si sveglia e divora ogni cosa. Anacleto viene dal Portogallo, abita a Zárate, 90 chilometri da Buenos Aires, sulle sponde del Paraná. Non gli piace Zárate. In assoluto, non gli piace questo mondo né questo tempo. “La gente ha perso il senso dell’identità, tutto corre, tutto si distrugge”, dice. Poi mi indica una tizia. “Tipica argentina”. Anni 45, labbra gonfie come Zeppelin, pelle tirata, tette in esposizione. Anacleto la piglia in giro, “questa è una donna?”. Anacleto, la domenica, pranza al Cafe Tabac con la figlia, ‘Sole’, eccellente scrittrice di reportage. Quella domenica c’ero anch’io. Il Cafe Tabac è il bar più elegante della Recoleta, la zona di Buenos Aires eternata da Jorge Luis Borges in una delle sue prime poesie, La Recoleta. Il grande cieco amava il cimitero della Recoleta, “la comunione del marmo e del fiore”, dove “esaltiamo il sogno e l’indifferenza”. “Me lo ricordo, l’ho vissuto il tempo in cui andavi Cafe La Biela o al Tortoni e lo vedevi, Borges, appollaiato al suo bastone, e potevi fargli qualche domanda, e lui ti guardava, guardando nei gangli del tuo destino, forse, guardingo, e forse rispondeva”, mi dice, e con una mano cancella gli ultimi trent’anni, come se fossero una falange di piccioni. Anacleto ha una eleganza innata. Ha letto molti libri. Un po’ se ne vanta. “Ormai non ho nessuno con cui parlare, sa, gli amici sono quasi tutti morti”. La sua passione è Federico Fellini: cita brani di film, ricorda quando ha visto Amarcord, ha una passione viscerale per Otto e mezzo, è un florilegio di aneddoti. Mi racconta le malizie con cui Fellini rifiutò, per il suo Casanova, di affidare il ruolo del protagonista a Robert Redford, contravvenendo ai desideri del produttore. Che strano. All’altro capo del mondo un ‘fellinologo’. Che si offende quando non lo seguo, quando non gli do spago nel delirio filologico felliniano. Poi attacca con i libri. Adora William Faulkner. “Il suo libro più bello è Le palme selvagge: lo sa che lo ha tradotto anche Borges?”. Ovviamente non lo so. Poi mi parla di Cesare Pavese, di Pasolini (“mi piace Ragazzi di vita”), di Albert Camus e di André Malraux. Mi obbliga a comprare un libro di Isidoro Blaisten, “uno dei grandi scrittori argentini contemporanei. E poi, mi creda, se vuole conoscere l’Argentina lasci perdere Martin Fierro o Don Segundo Sombra”. E… cosa dovrei leggere? “Ovvio. Il Facundo di Domingo Faustino Sarmiento, quella è la quintessenza dell’argentinità… se esiste”. Mi informo. Sarmiento, che è stato anche Presidente dell’Argentina dal 1868 al 1874, ha pubblicato nel 1845 la storia di Facundo Quiroga, caudillo argentino vissuto nei primi dell’Ottocento, durante i turbini che seguirono la dichiarazione d’indipendenza, noto per il coraggio e l’avventatezza. Anacleto, figura eroica, a suo modo, fuori tempo, avrà 75 anni, fa il parrucchiere a Zárate, il peluquero. La sua barberia è una specie di antro filosofico, dove si discute di libri, di cinema, della vita e della morte. Ha fatto radio per decenni e ha portato il rock nei domini argentini. “Si informi, a Borges piaceva il rock… ed era adorato da Mick Jagger”. Poi Anacleto se ne va, con la sua aura leggendaria. Mi informo. Lì per lì penso che sia una battuta. Che cavolo c’entra lo scrittore de L’Aleph con il cantante di Satisfaction? In effetti, c’entra.
L’aneddoto lo ha raccontato, un decennio fa, María Kodoma, la musa di Borges, la vedova – se l’è sposato due mesi prima della morte – presidente della ‘Fundación International Jorge Luis Borges’. Intanto, la Kodoma recensisce la discografia di Borges. “Non gli piaceva Beethoven. Ma ascoltava Brahms, Bach, la musica antica, medioevale, e il folclore, la milonga e il tango”. Fin qui, ci siamo. Il resto ci stupisce.
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