Shopping, viaggi, Instagram: anche l’Islam ha le sue Chiara Ferragni

La “modest fashion” sta mostrando un volto poco noto delle donne musulmane, dedite allo shopping, ai magazine di moda e ai viaggi in giro per il mondo. Senza dimenticare il Corano

dalla pag Insagram dinatokio

«Ho più di 50 hijab… ma alla fine metto sempre gli stessi cinque… e continuo ancora a comprarne». Il profilo Instagram di Voile Chic, stilista di veli hijab per donne musulmane, ha più di 188mila follower. Pochissimi, se paragonati ai 4,8 milioni dell’indonesiana Dian Pelangi, la più nota fashion blogger della moda islamica. O agli 1,4 milioni di Dina Torkia (nota come Dina Tokio). E al quasi 1 milione di seguaci di Hijab Muslim, uno dei più noti fashion blog di moda musulmana gestito dalla tunisina Mariam Ayari

Anche la moda islamica ha le sue Chiara Ferragni. Ma col velo, e senza nudità o Fedez in bella vista. Una community di influencer in crescita, che sta mostrando un volto poco noto delle donne musulmane, dedite allo shopping, ai magazine di moda e ai viaggi in giro per il mondo. Proprio come tutte le altre fashion victim occidentali. Ma senza dimenticare i precetti del Corano.

Se il mondo della moda macina cifre a sei zeri su Instagram, di certo il grande mondo della modest fashion (moda sobria) non poteva restare a guardare. Le pioniere sono state le hijaber dall’Indonesia (Indonesian Hujabers Community), il più grande Paese musulmano al mondo per numero di credenti. E poi la Rete ne è stata contagiata. Moda e fede si intrecciano nei post. E accanto agli shooting, i selfie, i filtri e alle foto ammiccanti (ma non troppo), si possono trovare frasi del Corano e preghiere.

L’hashtag #hijab conta ormai 43,4 milioni di post, #hijabstyle 11,6 milioni, #hijabchic 1,5 milioni. Quando Dolce & Gabbana ha lanciato la prima collezione di hijab e abaya, il camice nero che copre tutto il corpo tranne testa, piedi e mani, Forbes la definì “la mossa più intelligente degli ultimi anni”. E non aveva torto. Il giro d’affari intorno alla modest fashion si aggira intorno ai 300 miliardi di dollari, ed entro il 2020 secondo Reuters è previsto un incremento fino 484 miliardi, con una quota di mercato del 13 per cento.

Diversi brand occidentali hanno già lanciato collezioni dedicate alle Muslim Millennials, vero target della halal revolution: appassionate di moda, età media intorno ai 30 anni, e soprattutto molto connesse. Dkny è stato il primo marchio a lanciare una Ramadan Collection. Poi sono arrivati Tommy Hilfiger, Oscar De La Renta, Valentino, Prada. E pure i marchi del fast fashion come Zara, H&M, Mango, Uniqlo, che ha collaborato con la fashion designer musulmana Hana Tajima per la sua linea di modest wear. Gli ultimi a entrare nel business sono stati i magazzini Macy’s, che hanno lanciato una propria linea di veli.

Ma la moda è diventata anche un’occasione di business per le donne. A Dubai è stato creato l’Islamic Fashion and Design Council di Dubai per incentivare lo sviluppo dell’industria della moda islamica nel mondo. Da qui è nata poi, in risposta alle settimane della moda, la Prȇt-à-Cover Buyers Lane, supportata dal governo emiratino, che si terrà alla fine di marzo 2018. L’Arab Fashion Council, fondato a Londra nel 2014, ha creato invece la Arab Fashion Week. Quello stesso anno nasceva anche la Giornata mondiale del velo, che si celebra ogni 1 febbraio. E sempre a Londra, lo scorso ottobre, si è svolto il primo Modest Fashion Festival. Senza dimenticare il debutto di Vogue Arabia nel marzo 2017: per la prima cover è stata scelta la top model Gigi Hadid, coperta da un velo impreziosito di pietre.

E se di moda si tratta, è la Rete il vero place to be. Instagram in primis. Ancora prima che D&G dalla Sicilia decidessero di sbarcare nel mondo islamico, il social network delle fashion designer si è popolato di foto con veli eleganti e brand di moda islamica. I milioni di follower non arrivano solo dai Paesi musulmani per eccellenza. Molti – come del resto gran parte delle stesse fashion blogger – sono ragazze e donne di fede islamica stabilitesi sul territorio europeo o negli Stati Uniti.

«L’Islam non ci dice esattamente come vestirci, con quali colori o quale velo indossare», ha raccontato Sobia Masood, studentessa del Fashion Institute Technology di New York. «Ci dà delle linee guida. E poi ogni donna musulmana ha il diritto di interpretarle nel modo in cui preferisce». Se in alcuni Paesi, come Iran o Arabia Saudita, la norma coranica è molto rigida, in Paesi come gli Emirati Arabi o il Kuwait la moda mediorientale si intreccia ormai con quella occidentale.

Melanie Eltutk, ceo di hautehijab.com, oltre a vendere costosissimi hijab in tutto il mondo, offre tutorial che spopolano su Instagram e Youtube dedicati proprio alle hijabistas, un mix tra tra hijab e fashionistas. Come immaginare Sarah Jessica Parker e amiche, ma col velo (ma forse non è proprio il paragone più azzeccato).


Il corpo – certo – è coperto. E il senso di pudore e modestia devono valere anche nell’abbigliamento, ma abaya e hijab non sono più solo neri o bianchi. Ci sono colori vivaci e stampe glamour, da abbinare a capi tipici della moda occidentale. E il velo viene indossato dalle più giovani sempre più su outfit casual, come fanno le mypster, la versione musulmana degli hipster.

Maryam Asadullah, 241mila follower all’attivo, dal Texas ha creato ad esempio una linea fatta di jeans e lunghi camicioni e top da abbinare sopra. Mariam Sobh a Chicago ha lanciato il magazine online Hijab Trendz, in cui consiglia abbinamenti di ogni tipo. E persino la campionessa olimpica di scherma Ibtihaj Muhammad ha creato il proprio brand, Louella. Più lussuosa ed elegante, invece, Dalal AlDoub, dal Kuwait, con 2,2 milioni di follower, che fa da testimonial a numerosi brand di profumi e make up, tra tacchi a spillo e pellicce.

E come le donne occidentali hanno i propri Zalando o Yoox, esistono anche piattaforme di e-commerce dedicate alla moda femminile islamica. Le imprenditrice dietro l’indonesiano Hijup.com sono perfino sbarcate alla London Fashion Week per promuovere il proprio sito. Senza dimenticare che anche su Amazon si possono trovare vestiti islamici di ogni tipo. Digitando “hijab”, vengono fuori 4mila risultati.

Ma proprio come le Instagrammer occidentali, anche le Ferragni islamiche sono criticate per essere superficiali. E non è raro che vengano disprezzate per aver unito la loro fede a shopping, make up e vestiti. Qualcuna di loro, poi, ha fatto anche qualche passo falso. Come quando lo scorso ottobre la fashion blogger e youtuber Dina Torkia ha lanciato una nuova linea di t-shirt con la la parola “extremist”. Estremista. E la Rete non ha gradito. Per niente.

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