“Ma chi vuoi che si bruci in un momento come questo?”. Le parole sono di una fonte interna al Nazareno e non potevano riassumere in maniera più eloquente lo stato d’animo con cui il Partito Democratico si appresta ad affrontare il suo immediato futuro. E se il presente si chiama Maurizio Martina, il futuro (almeno quello prossimo) si chiamerà, a meno di improbabili sorprese, ancora Maurizio Martina. Il segretario reggente che ha preso le redini del Pd dopo la fuoriuscita di Renzi rimarrà in sella. E’ questo il quadro che i vertici dem, ognuno con la sua area di riferimento, stanno componendo in queste ore. L’assemblea nazionale che si svolgerà il 15 o, più probabilmente, il 22 aprile stabilirà che il dirigente bergamasco, cresciuto a polenta e politica, accompagnerà il partito al congresso, che si svolgerà prima della scadenza naturale del 2021.
Martina ha ora il compito di condurre le consultazioni con il Colle, dalle quali, nonostante le voci dissonanti delle ultime ore, il Pd uscirà all’opposizione, come chiesto e, di fatto, imposto da Renzi al momento dell’addio. Nel partito è chiaro a tutti che i numeri per sovvertire la linea renziana non ci sono e l’ex leader non ha mai nascosto addirittura la possibilità di rompere l’unità del partito se sarà costretto a farlo. La prospettiva era e resta l’opposizione, con l’unica vera alternativa relegata alle suggestioni di un governo di scopo sotto la regia di Mattarella. “Ma solo se ci stanno dentro tutti, nessuno escluso”, sottolinea un parlamentare vicino a Renzi. Nel frattempo il segretario appena dimessosi è al lavoro per mettersi al sicuro da sorprese, provando a “fare cappotto” in tutti i ruoli parlamentari riservati al Pd: dai capigruppo (Guerini alla Camera sembra certo, più contestata l’ipotesi Marcucci al Senato) alle presidenze della Vigilanza Rai e del Copasir, per cui i nomi sono quelli dei soliti noti, Boschi e Lotti.
Il congelamento della soluzione Martina, anche oltre il mese di aprile, è la soluzione ideale per tutti. Per Renzi e i renziani, che continueranno a mantenere la maggioranza negli organismi dirigenti (gruppi parlamentari, Assemblea e Direzione nazionale) e per tutte le altre anime del partito che avranno il tempo di riorganizzarsi
Il congelamento della soluzione Martina, anche oltre il mese di aprile, è la soluzione ideale per tutti. Per Renzi e i renziani, che continueranno a mantenere la maggioranza negli organismi dirigenti (gruppi parlamentari, Assemblea e Direzione nazionale) e per tutte le altre anime del partito che avranno il tempo di riorganizzarsi, a dispetto delle scadenze elettorali imminenti, che potrebbero rappresentare un’altra battuta d’arresto per il Pd. Nessuno, in questo momento, vuole metterci la faccia, sapendo che comunque sarà una soluzione transitoria.
Su quale sia il periodo della nuova segreteria Martina non vi sono certezze. Ma l’attivismo di molti dirigenti dem suggerisce che non si tratterà di un arco di tempo lunghissimo. Nicola Zingaretti, forte del risultato elettorale in controtendenza alle ultime elezioni, ha già avanzato la sua candidatura. Lo stesso sta per fare Matteo Richetti, che ha dato appuntamento al 7 aprile per un incontro nel quale, con le formule di rito che la situazione richiede, si dichiarerà disponibile a correre per la segreteria. Non è da escludere che lo farà addirittura prima di quella data. Poi c’è la suggestione Calenda, che non ha ancora deciso “cosa fare da grande” ma che sarà comunque determinante – insieme a tutta l’area governista, da Gentiloni e Minniti – per stabilire gli equilibri futuri. C’è quindi da attendersi, per le prossime settimane, una corsa al riposizionamento interno attorno a quelli che saranno i “cavalli in corsa”. La discesa in campo di figure di peso come Richetti, che potrebbe riunire sotto la sua candidatura tutte le anime del renzismo, e Zingaretti, che non ha alcuna intenzione di fare il candidato di minoranza e cercherà convergenze sul suo nome dentro la maggioranza e tra gli amministratori locali, rischiano quindi di accelerare l’apertura della fase congressuale. Anche perché, al netto di elezioni politiche anticipate, nella primavera del 2019 è già fissato l’appuntamento con la tornata europea, che sarà decisivo.
In questo senso, il precedente a cui in molti fanno riferimento è quello della segreteria di Dario Franceschini, che prese le redini del partito dopo le dimissioni di Walter Veltroni nel marzo del 2009 e portò il partito a congresso nell’autunno dello stesso anno. Il timing, con Martina, potrebbe essere lo stesso. Difficilmente, però, per l’ex ministro dell’Agricoltura ci sarà spazio per una ricandidatura, come fu per lo stesso Franceschini.