“Un gran gioco delle parti, ecco cosa è stata la Direzione del Pd”. È con queste parole che una fonte molto vicina al cerchio stresso dei renziani descrive la tanto attesa riunione del parlamentino dem, la prima dopo la batosta elettorale. Dietro il via libera al documento che affida al vicesegretario Maurizio Martina la guida del partito fino all’Assemblea nazionale di aprile, ci sono manovre che non sono piaciute ai fedelissimi del segretario. Nel testo approvato con il voto compatto di tutta la maggioranza e della minoranza che fa capo ad Andrea Orlando (Michele Emiliano e i suoi si sono astenuti) si fa esplicito riferimento alla gestione collegiale del Pd “nei prossimi passaggi politici”. Un’espressione che è stata aggiunta solo nel finale, proprio per ottenere anche il sì della componente del ministro della Giustizia. Si tratta, al di là dei giri di parole, del tanto stigmatizzato “caminetto”, più volte evocato, negativamente, da Renzi nella sua conferenza stampa post-voto.
Che l’aria non fosse serenissima lo si era capito di prima mattina, aprendo la rassegna stampa. Primo articolo. Intervistona di Matteo Renzi sul Corriere della Sera, in cui l’ormai ex segretario ribadisce la linea già imposta, politicamente e mediaticamente, a tutto il partito: “Stiamo all’opposizione, punto. Niente governi con gli estremisti”. Una linea che verrà sposata in toto da Martina e poi approvata dalla stessa Direzione, dopo aver preso atto formalmente delle dimissioni di Renzi. E poi, all’ora di pranzo, la enews, che rimane il metodo di comunicazione a cui l’ex premier è più affezionato. Il messaggio, sintetizzato, è questo: “Non mollo, il futuro prima o poi tornerà”. Due missive – quella sulla linea politica e la promessa di rimanere in campo – diretti con precisione e tempismo al Nazareno, dove stava per riunirsi la Direzione.
Si tratta, al di là dei giri di parole, del tanto stigmatizzato “caminetto”, più volte evocato, negativamente, da Renzi nella sua conferenza stampa post-voto
Il pressing renziano – segnale evidente che la fiducia in Martina e nel resto della maggioranza non è poi così forte – prende forma intorno alle 15, appena prima dell’inizio della Direzione. Tutti insieme entrano in sala i colonnelli renziani, che prendono simbolicamente il posto del capo, auto esiliatosi in quel di Firenze. Sul tavolo della presidenza Matteo Orfini, uno dei pochi non toscani e non nel giro stretto del Giglio Magico di cui Renzi ancora si fida. In prima fila Maria Elena Boschi (che non si alzerà mai dalla sedia per tutte le cinque ore di riunione), Francesco Bonifazi e Andrea Marcucci. Subito dietro Luca Lotti, che presto si sposta nelle retrovie per svolgere il ruolo che gli riesce meglio da sempre, quello del regista silenzioso di tutto il blocco renziano. Lorenzo Guerini a fare da spola. Tutti a marcare stretto Martina.
I sospetti dei renziani si materializzano piano piano, nel vedere che la Direzione scivola via più tranquilla di quanto ci si aspettasse. L’apprezzamento per la relazione del vicesegretario è unanime. Della minoranza prendono la parola Cuperlo e Orlando, che usano parole dure nei confronti di Renzi, ma non strappano. Della maggioranza parla Delrio – che chiede unità – e nessun altro calibro, se si esclude Fassino. Però in sala ci sono tutti: Gentiloni, Franceschini, Minniti. Si fa vedere – pur visibilmente disorientato in un ambiente a lui poco famigliare – il neo-iscritto Calenda. Si siede (un caso?) proprio vicino a Orlando. Anche dei ‘turbo-renziani’ non parla nessuno, solo il sindaco di Firenze Nardella. E’ infatti in altre stanze che si sta decidendo il significato politico di questa Direzione. In quelle stanze dove si sta limando il documento finale, al fine di arrivare ad un voto condiviso. Nelle battute finali si capisce che – almeno in questo caso – a dare le carte non sono stati i renziani.
Però in sala ci sono tutti: Gentiloni, Franceschini, Minniti. Si fa vedere – pur visibilmente disorientato in un ambiente a lui poco famigliare – il neo-iscritto Calenda. Si siede (un caso?) proprio vicino a Orlando
Ecco il gioco della parti di cui si parlava. Nella relazione iniziale Martina parla esplicitamente di tenere in vita la segretaria nominata da Matteo Renzi, un organismo composto per lo più da sconosciuti, che in quasi un anno non si è riunito neppure una volta, fatta eccezione per la prima foto di gruppo sulla terrazza del Pd. Perché un riferimento così esplicito? Lo si capirà solo più tardi, quando Orlando fa sapere che la segreteria va azzerata, altrimenti niente voto favorevole. Comincia la trattativa, portata avanti dai renziani, con scarso successo, tanto che – ed è una scena che non si vede molto spesso – Lorenzo Guerini, visibilmente infastidito, invita Martina, seduto al tavolo della presidenza, a intervenire in prima persona. Il ‘reggente’ si alza, percorre tutta la sala e raggiunge Orlando, Cuperlo e qualche altro esponente della minoranza in una sala adiacente quella in cui si sta svolgendo la Direzione. Un faccia a faccia di pochi minuti, dal quale escono tutti sorridenti e dopo il quale si vota il documento che pone fine alla riunione.
Il riferimento esplicito alla “gestione collegiale” è il risultato che ha portato a casa la minoranza. Quella della segreteria – la cui sopravvivenza o il cui azzeramento non interessava a nessuno – era solo una polemica fittizia, per arrivare alla sintesi che tutti, eccetto gli ultras renziani, volevano. La “gestione collegiale”, infatti, non è solo una garanzia per la minoranza. Lo è, soprattutto, per chi nella maggioranza vuole giocare un ruolo di primo piano. Gentiloni e Minniti, Franceschini, i veltroniani, gli stessi Delrio e Richetti. E’ la prima volta, da anni, che il Giglio Magico finisce sostanzialmente in minoranza. L’asse creatosi dopo la sconfitta elettorale ha retto e ora si propone di proseguire “con i prossimi passaggi politici”: nomina dei capigruppo, partita delle nomine istituzionali, consultazioni al Quirinale. Per arrivare all’Assemblea nazionale di metà aprile, che sarà chiamata a decidere chi e come guiderà il Pd nell’immediato futuro. La battaglia è appena iniziata e tutti la vogliono giocare fino in fondo.