Se lo hanno fatto loro, può farlo chiunque. Nel 1933 due mucche e un toro sono state trasportate in Antartide, in una missione di un anno guidata dall’ammiraglio americano Richard E. Byrd, e grazie a questo sono diventate famose. Il motivo ufficiale? Garantirsi, nel corso della spedizione, una fornitura costante di latte fresco: “L’ammiraglio beve sempre due scodelle di latte Guernsey al giorno”, spiegavano i giornali dell’epoca. Quello in polvere, usato in queste circostanze, non era abbastanza soddisfacente.
In realtà, a giustificare l’idea balzana di portarsi delle mucche nell’estremo sud del mondo c’erano ben altri motivi, più che ufficiosi. Prima di tutto, il bisogno di farsi un po’ di pubblicità. L’ammiraglio, che fino a quel momento aveva portato a termine diverse imprese (ad esempio sorvolare il polo Sud), stavolta aveva a che fare con una spedizione piuttosto noiosa, almeno dal punto di vista mediatico: ricerche scientifiche, carotaggi, osservazione delle meteore. Niente che potesse sollevare l’interesse della stampa – e, di conseguenza, l’interesse degli sponsor. Da qui la trovata, piuttosto assurda, di portarsi dietro delle mucche. I produttori di latte americani avevano solo da guadagnarci e soprattutto da far guadagnare loro. Una questione di soldi.
Inoltre, come nota con una certa finezza questo articolo di AtlasObscura, c’era anche una questione di immaginario. Gli Usa si erano presentati tardi nella corsa all’Antartide e si erano visti superati da altri Paesi, più avvantaggiati dal punto di vista geografico (come ad esempio l’Argentina), ma non solo (appunto la Gran Bretagna e la Francia). La base americana si presentava ai loro occhi come una nuova frontiera. E cosa poteva simboleggiare meglio l’America di una classica, tipica fattoria di animali?
Insomma, il trucco funzionò. La storia delle mucche finì sui giornali e la spedizione poté partire con tantissimi sponsor e finanziamenti. Ma nonostante le premesse ottimistiche, non fu per niente facile. L’ambiente ostile rese nervosi gli animali. Al momento dello sbarco, una delle mucche decise di tornare sulla nave. Ci volle molta fatica, e la leadership del nuovo vitellino, nato proprio a bordo durante l’andata (anche questa era una trovata pubblicitaria), a condurre i bovini nella loro stalla semi-sotterranea. Ma la situazione non migliorò. Col passare dei mesi, la produzione del latte cominciò a scarseggiare. Gli animali, nutriti con biada vecchia di un anno, mentre fuori la temperatura si aggirava intorno ai -70, cominciarono a soffrire e ad ammalarsi. Uno di loro dovette essere sacrificato.
La spedizione non fu poi un grande successo. Erano partiti in tre, tornarono in tre. Per breve tempo, però – potenza del marketing – riuscirono comunque a diventare famosi. I giornali scrissero su di loro, vennero invitati a feste e celebrazioni, per poi tornare, dopo tutto quel can can, nelle loro quiete fattorie, insieme agli altri normalissimi bovini, che a differenza loro (e di molti di noi) non videro mai i ghiacci immensi e il sud del pianeta.