Il problema di chi, per dormire, conta le pecore in inglese è che dovrà scontrarsi, senza dubbio, con la sua forma plurale. Una pecora si dice “sheep”. Ma due pecore – ohibò – si dice ancora “sheep”. E non “sheeps”. Come è possibile? E soprattutto: come si distingue il plurale dal singolare?
La cosa è sorprendente solo in parte. In italiano esistono tantissime parole che rimangono invariate al singolare e al plurale. Una di queste è “città”, ma anche “caffè”, “barbarie”, “bici”, “analisi”, “posacenere”: non può stupire, insomma, che ce ne siano anche in inglese.
Del resto, “sheep” è solo un esempio. Ci sarebbe anche “fish” (pesce), e “moose” (alce), “swine” (maiale), “deer” (renna), “salmon” (salmone), “cattle” (bestiame). Come si vede, sono tutti nomi di animali e, caratteristica che non è sfuggita ai linguisti, presentano nella parola o una doppia vocale (shEEp, mOOse), cioè una vocale lunga, o una vocale breve seguita da due consonanti (fiSH).
Queste parole, sostengono gli esperti, in origine – si parla di radici germaniche, per cui di tanto tempo fa, erano caratterizzate dalla mancanza di marcatore del plurale. Niente “s”, cioè non esisteva nulla che, contesto a parte, potesse distinguere una pecora da due pecore. La cosa notevole è che, all’inizio, questo gruppo di parole era molto più ricco. C’era “thing” (poi ha assunto la forma plurale “things), c’era anche “horse” (che oggi è “horses”). Col tempo, per analogia con altre parole, per comodità o chissà cosa, hanno modificato la loro forma, assumendo un plurale con la “s”. Altre, come “sheep”, invece, sono rimaste come una volta. E pronunciarla è un po’ come fare un viaggio indietro nel tempo.