Va’ dove ti porta il voto: Meloni corteggia Orban, Salvini si converte al Cattolicesimo

Giorgia Meloni molla Marine Le Pen e si volge a Orban (che dovrebbe, a rigore, essere la sua bestia nera). Matteo Salvini abbraccia il Cattolicesimo (alla faccia del dio Po). Neo estremismi morbidi all’Italiana

Adieu Marine. La destra italiana dopo aver corteggiato con insistenza da stalker il lepenismo volta le spalle al “modello francese” e si rivolge altrove. Le due immagini che segnano lo strappo sono quelle di Giorgia Meloni affacciata sul Danubio con Viktor Orban e di Matteo Salvini che sventola il rosario sul palco di Milano. Fotografie diverse per due tipi differenti di divorzio politico.

La Meloni volta le spalle al lepenismo severo ma perdente di Marine – tanto entusiasmo, pochissimi risultati – e sceglie il nazionalismo di governo, quello che vince. Orban è la figura più radicale dei leader “semi-europei”, quelli che sono entrati nell’Unione senza adottare l’euro e da qualche tempo ne contestano addirittura il fondamento ontologico affermando che è giunta l’ora di «liberarsi dai dogmi e dall’ideologia occidentale europea». La danza ungherese di Giorgia nasce probabilmente dall’inseguimento del voto estremista che potrebbe spostarsi su Casa Pound, associato a una scarsa considerazione della logica: un partito sovranista italiano a Orban dovrebbe dichiarargli guerra, visto che è lui – con i suoi muri e con il suo dumping fiscale – ad aver messo in difficoltà l’Italia bloccando la delocalizzazione dei profughi e incentivando quella delle aziende.

Irene Pivetti, quando mandò a quel paese il Senatùr, lo definì «adoratore pagano, istigatore di una religiosità laica, naturalista e panteista»: chissà se, vent’anni dopo, è contenta di vedere la conversione di Asterix al Vangelo, con tutto ciò che ne consegue.

Salvini, al contrario, cancella dall’album di famiglia la laicissima Le Pen per prendersi il voto delle vecchiette della messa delle sei. Mossa politicamente geniale ma senz’altro spiazzante per la tradizione della vecchia Lega, che più che l’icona di Padre Pio santificava quella dei Celti, mito fondante del secessionismo di Bossi e delizia dei militanti che per anni andarono ai raduni travestiti da Braveheart, capelli scarmigliati e faccia tinta di blu. Irene Pivetti, quando mandò a quel paese il Senatùr, lo definì «adoratore pagano, istigatore di una religiosità laica, naturalista e panteista»: chissà se, vent’anni dopo, è contenta di vedere la conversione di Asterix al Vangelo, con tutto ciò che ne consegue.

Ma insomma. A un anno dalle elezioni francesi la relazione con Marine Le Pen – che sembrava così permanente, strutturata, esclusiva – è stato totalmente dismessa, a conferma del fatto che certi innamoramenti nascevano più da ragioni di opportunità e di propaganda che da un’autentica condivisione. Metà dei programmi lepenisti erano fondati su una critica radicale al capitalismo: una cosa poco conciliabile con l’alleanza al partito liberale e liberista di Silvio Berlusconi e con la proposta della flat tax che è il cardine della campagna elettorale del centrodestra. L’altra metà verteva su cose come il ritorno al Franco, l’abolizione delle Regioni e l’addio al comando integrato della Nato. Figuriamoci.

Della complessa narrazione lepenista la destra italiana si tiene la parte forse meno rilevante: l’allarmismo sull’immigrazione e l’idea che la priorità nazionale sia «fermare l’invasione straniera». È la fetta più dolce della torta, quella più facile da servire al Paese, la meno impegnativa nei confronti delle grandi agenzie sovranazionali e anche dei tradizionali referenti in patria: un elettorato tutto sommato conservatore che, come diceva Flaiano, ama le barricate fatte coi mobili degli altri.

L’incontro di Giorgia Meloni con Orban e lo show neo-cattolico di Matteo Salvini dovrebbero in definitiva rassicurare chi agita lo spettro della vittoria di una destra oscurantista, violenta, addirittura fascista, sottolineando le molte (troppe) espressioni sopra le righe della campagna elettorale e l’oltranzismo ostentato sui palchi. Tranquilli, sono sempre gli stessi e torneranno ad esserlo dopo il voto, quando finirà l’esigenza di fregarsi voti l’uno con l’altro in modo creativo e tornerà prevalente l’interesse al governo. Come hanno dimenticato la Le Pen, si scorderanno Orban. Come hanno smesso di vestirsi da Braveheart, dismetteranno il “Dio lo vuole”. Anche l’estremismo in Italia si fa all’italiana, e preoccupa meno che altrove.

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