Il corto Pixar sul raviolo cinese rischia di essere censurato in Cina

Nonostante sia a tutti gli effetti un omaggio alla cultura e alla cucina di quel Paese, si teme che il pubblico associ il raviolo/panino (bao) al presidente Xi

Esiste un legame tra il bao, una sorta di panino/raviolo e il presidente Xi Jinping? Pare di sì, e proprio per questo il cortometraggio Pixar sulla storia di un simpatico raviolone cinese animato rischia di essere censurato. Non è una stranezza: da anni, in modo sistematico, la Cina passa in rassegna tutte le forme di espressioni possibili, valuta se possano avere contenuto “pericoloso” e se non superano l’esame le fa sparire. È toccato a certe produzioni anime, a diverse canzoni rap, a tutto ciò che riguarda Winnie Pooh (forse perché alcuni si divertivano a trovare una somiglianza tra il simpatico orsetto e il presidente cinese). Bandito, oscurato, proibito.

L’ultimo caso potrebbe toccare alla Pixas. Il corto si intitola Bao e parla di una donna che soffre di sindrome da culla vuota che un giorno scopre un panino farcito (un bao, appunto) appena nato. Come è evidente, il film è anche (in parte) un omaggio delicato alla cultura e alla cucina cinese, diretto da una regista americano-cinese. E secondo alcuni potrebbe perfino non essere proiettato, alla prima, insieme a film come Incredibles 2.

L’odio contro Bao si spiega se si ricorda una antica polemica, del 2013, che riguarda una visita che il presidente Xi aveva fatto a un negozio di ravioli/panini in Cina. Era parte di una campagna dal nome “tenere il Partito Comunista a contatto con le persone comuni”: il presidente entra, si mette in fila come tutti, aspetta il suo turno, prende cinque bao e poi se li mangia da solo a un tavolino. L’iniziativa ha subito destato sospetti. Alcuni hanno pensato che si trattasse di una forma di pubblicità, che non avesse niente di spontaneo e che, anzi, fosse tutta una messinscena. Da lì nasce il soprannome, diffuso negli account più satirici, di “Xi Baozi” (Xi il raviolo).

Al presidente non è piaciuto: l’autore è stato individuato, processato e (come ovvio) condannato a 22 mesi di prigione con lavori forzati. Tutta la faccenda del “raviolo” è stata messa al bando e la parola è entrata nella lista dei controlli, da verificare ogni volta se indica il vero bao o se, invece, parla del presidente.

Funziona così, insomma. Tanto per ricordarlo a coloro che, nel 2017 si spellavano le mani per applaudire Xi Xinping, l’eroe di Davos, contrapposto a Donald Trump. In America contro il Presidente escono libri di pettegolezzi di giornalisti (poi dimenticati) e memoir di ex direttori del Fbi (sarà dimenticato anche quello), mentre una pornostar in cerca di notorietà vuole raccontare in mondovisione le sue avventure con l’inquilino della Casa Bianca.

A Pechino, invece, non si può parlare di panini e ravioli senza il brivido di essere arrestati e messi in galera.

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