«Il perfetto leghista siciliano è qualcuno che in quest’isola vuole rimanerci». Fino a qualche tempo fa sarebbe stato naturale chiedersi se le dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi da Matteo Salvini non fossero una fake news. Da qualche anno, però, parole di questo tipo non fanno più scalpore. Vanno ad alimentare la narrazione usata dal segretario nazionale del Carroccio per quel restyling che ha permesso alla Lega di compiere lo sprint fondamentale per diventare il partito guida del centrodestra. Al punto da ritrovarsi a guidare le trattative per la formazione del nuovo governo e ricevere le avances di Luigi Di Maio.
Nonostante la particolarità del momento a Roma, Salvini la settimana scorsa è tornato in Sicilia per chiudere l’accordo a Catania con il resto del centrodestra e sostenere la candidatura a sindaco dell’eurodeputato Salvo Pogliese. Alle amministrative si riproporrà così quella coalizione che a novembre ha permesso a Nello Musumeci di diventare presidente della Regione. Quella vittoria è valsa al centrodestra la possibilità di tornare a guidare l’isola dopo cinque anni di centrosinistra targati Rosario Crocetta, ma finora non ha dato al Carroccio una rappresentanza in giunta. «Non ho chiamato Musumeci per chiedere assessorati, si può stare anche senza», ha detto Salvini, intervistato da una tv locale.
La posizione del leader leghista segue la volontà di marcare, anche all’interno del panorama del centrodestra, il carattere di discontinuità necessario al partito per gestire un patrimonio di voti mai avuto. Compreso in Sicilia, dove la Lega ha preso quasi 120mila voti alle politiche di marzo, pari al 5,44 per cento su base regionale ma con punte altissime in singole realtà come Graniti, piccolo centro del Messinese dove ha superato il 33 per cento alla Camera e il 37 al Senato, grazie alla forza sul territorio di un uomo come Carmelo Lo Monte, politico di lungo corso che in carriera ha cambiato la bellezza di nove partiti. Dalla Dc all’Italia dei valori, passando per il Psi e finire – almeno per ora – nella Lega. Un profilo quello di Lo Monte che, stando alle parole di Salvini, non avrebbe dovuto fare al caso del Carroccio. «La Lega in Sicilia è aperta a chiunque sia interessato a rivendicare il diritto di rimanere, lavorare e fare famiglia nell’isola, meglio ancora se non ha fatto in passato politica all’interno delle istituzioni», ha affermato Salvini. Per poi aggiungere di avere rinunciato, a differenza di altri, a quanti gli hanno proposto pacchetti di voti potenzialmente sospetti.
Salvini ha presentato colui che da qui in poi sarà chiamato a supervisionare le scelte del partito in Sicilia: il senatore Stefano Candiani. Quaranteseienne di origini varesine, Candiani è artefice dell’ottimo risultato in Umbria, dove la Lega è riuscita ad arrivare al 20 per cento, doppiando Forza Italia
Il riferimento va alle tante indagini che dalle regionali in poi hanno lanciato ombre sulla ricerca del consenso in Sicilia. Inchieste che sembrano non interessare la Lega, fino a quando, a inizio mese, non è venuta fuori la notizia dell’indagine a carico dei due coordinatori regionali del partito nell’isola, il senatore Alessandro Pagano e l’ex parlamentare Angelo Attaguile. I due sono accusati dalla procura di Termini Imerese di istigazione al reato di attentato contro i diritti politici del cittadino, per una storia dai contorni surreali: Pagano e Attaguile avrebbero spinto l’ex parlamentare Salvino Caputo – incandidabile per via della legge Severino entrata in gioco, dopo una condanna per tentato abuso d’ufficio – a schierare in lista un parente. Ma con alcune accortezze: evitare di diffondere manifesti elettorali con la fotografia e aggiungere sulla scheda elettorale la dicitura “detto Salvino”, così da non disperdere il consenso.
«Non possiamo prendere settemila o seimila voti e buttarli al macero», dice Pagano, intercettato dai carabinieri. Riflessione che per gli inquirenti sarebbe stata condivisa anche da Attaguile, che il 4 marzo ha fallito la riconferma a palazzo Madama. «A oggi non ho ricevuto avvisi di garanzia», replica il politico a Linkiesta . «Sento di avere la coscienza a posto, perché io avevo suggerito a Salvino Caputo di candidare il figlio, mentre alla fine è stato schierato il fratello». Sullo stratagemma del “detto Salvino”, Attaguile non si scompone: «Per me non era una furbata, sapevo che anche il figlio era conosciuto come Salvino».
La giustificazione ufficialmente è stata accolta da Salvini che, dopo avere incontrato i due coordinatori a Roma, si è detto garantista. Nonostante ciò, la scorsa settimana, il segretario leghista ha presentato colui che da qui in poi sarà chiamato a supervisionare le scelte del partito in Sicilia: il senatore Stefano Candiani. Quaranteseienne di origini varesine, Candiani è artefice dell’ottimo risultato in Umbria, dove la Lega è riuscita ad arrivare al 20 per cento, doppiando Forza Italia. «Con Stefano ci siamo già visti e ci sentiamo spesso», commenta Attaguile. «Il suo contributo sarà utile a fare crescere il partito nell’isola». L’ex parlamentare esclude che il commissariamento sia legato anche all’esigenza di allentare la pressione mediatica sui due coordinatori indagati, in un momento in cui la Lega si gioca molto del proprio futuro sulla scena nazionale. «Ci aiuterà a coordinare il lavoro, specialmente adesso che ci sarà tanto lavoro in vista delle amministrative», conclude Attaguile. Versione confermata anche da Salvini: «Ci serviva qualcuno che avesse uno sguardo esterno», ha chiosato il segretario parlando di Candiani e dando l’impressione di essersi già messo alle spalle l’imbarazzo per i sospetti sulle persone di fiducia a cui aveva dato le chiavi del partito in quella terra in cui sembra ormai di casa: «Tornerò presto in Sicilia, magari in veste di esponente del governo». Parola di Matteo Salvini. Quello che ha messo da parte i tweet antimeridionalisti, iniziando ad apprezzare le virtù degli arancini.