Il piano di Zingaretti: svuotare il renzismo e prendersi il Pd

Il governatore del Lazio verso l'archiviazione per il processo Mafia Capitale. Così Zingaretti si toglie di dosso un macigno e lancia la sfida per la segreteria. Con una strategia precisa: l'appoggio dei sindaci e il sostegno dei big (Franceschini, Gentiloni, Minniti) anti-Renzi

«La procura di Roma chiederà di archiviare la posizione di Nicola Zingaretti coinvolto nel filone dell’inchiesta ’Mafia Capitale’ con l’accusa di falsa testimonianza». È una notizia di alcuni giorni fa, passata in sordina. Eppure potrebbe non essere secondaria in chiave politica. Per il presidente della Regione Lazio, fresco vincitore delle elezioni e già candidatosi a guidare la “rigenerazione” del Pd, quella di Mafia Capitale restava una macchia. Un lato debole, che lo avrebbe reso attaccabile dal punto di vista mediatico, prima ancora che personale. Se davvero la vicenda dovessero risolversi con l’archiviazione, per Zingaretti sarebbe come scrollarsi un macigno di dosso.

Non può essere un caso che proprio gli ultimi giorni abbiano segnato un rinnovato attivismo del presidente della Regione, che il 5 maggio ha chiamato a raccolta quella che lui ha ribattezzato “l’alleanza del fare” e che, invece, da molti osservatori (interni ed esterni al partito), viene già considerata una sorta di “Leopolda” di Zingaretti. Per la scelta del luogo, l’ex Dogana di San Lorenzo a Roma, che evoca, proprio come la ex stazione fiorentina, la necessità e la possibilità del rinnovamento, per la tempistica, a ridosso dell’inizio della campagna elettorale per le elezioni amministrative, e per il tema che starà al centro del dibattito: la ripartenza del Pd da un modello vincente, che allarga l’orizzonte a tutto il centrosinistra e alle realtà civiche del territorio. Il modello Lazio. «La nostra vittoria – dice Zingaretti – dimostra che siamo vivi, forti e vitali. 340mila elettori hanno scelto altre forze politiche al voto nazionale e nello stesso momento hanno scelto il centrosinistra nel Lazio. Non vogliamo e non possiamo continuare a perdere, occorre lottare, allargare gli schieramenti e costruire una speranza». Di qui la chiamata a raccolta a tutte le forze della coalizione e l’invito allargato agli altri amministratori del centrosinistra, da Beppe Sala a Virginio Merola, fino a Massimo Zedda e Michele Emiliano.

«Svuotare il renzismo – semplifica un parlamentare da sempre molto attento alle dinamiche interne del Pd – ecco quello che vuole fare Zingaretti. Su due livelli, quello nazionale e quello territoriale»

Il governatore parla di “prospettiva regionale” ma è chiaro che dietro questa iniziativa ci sia il lancio di una sfida che supera i confini del Lazio e punta dritto al Nazareno. Il momento di passare all’incasso della vittoria elettorale di un mese e mezzo fa è arrivato. E, per quanto estremamente relativo, il voto del Molise non ha fatto altro che rafforzare l’immagine di Zingaretti come unica faccia vincente del Pd, almeno in questo momento. Di qui a costruire una candidatura in grado di scalare la segreteria del partito ce ne passa. Ma il percorso, in vista del congresso che si svolgerà in autunno o al massimo nei primi mesi del 2019, è tracciato.

Il punto di partenza è che Zingaretti non ha alcuna intenzione di essere il candidato della minoranza dem. Non vuole che il suo nome sia associato ad una corrente piuttosto che ad un’etichetta, quella dell’uomo di sinistra, né, tanto meno, dell’ex Ds. Perché questo non avvenga, l’unica via percorribile è puntare ad aumentare il proprio consenso nelle fila di quella che fino ad oggi è stata considerata la maggioranza del partito. «Svuotare il renzismo – semplifica un parlamentare da sempre molto attento alle dinamiche interne del Pd – ecco quello che vuole fare Zingaretti. Su due livelli, quello nazionale e quello territoriale». Due azioni parallele, da portare avanti con cura e con la giusta cautela. La prima è quella di dare vita, attorno al perno della sua candidatura, ad una rete di amministratori locali, dai più grandi ai più piccoli. C’è il sindaco di Milano Beppe Sala, ormai in costante allontanamento da Renzi, quello di Bologna Virginio Merola, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. I rapporti sono ottimi anche con un altro (ex?) pezzo forte della maggioranza, come il governatore emiliano Stefano Bonaccini. Si guarda poi a Massimo Zedda, primo cittadino di Cagliari ex Sel, da sempre incline al dialogo con il Pd, e a Federico Pizzarotti, sindaco di Parma che ha rotto da tempo con il Movimento Cinque Stelle. Solo per fare alcuni nomi.

Se l’operazione “svuotamento” andrà in porto, Zingaretti partirà con i favori del pronostico al prossimo congresso che eleggerà il nuovo segretario del Pd. Anche perché Renzi, sempre che non decida di tornare in campo in prima persona, non ha ancora trovato un candidato in grado di ottenere lo stesso consenso

Parallelamente si lavora a livello nazionale. L’obiettivo, come detto, è superare lo steccato dentro il quale è stata rinchiusa la minoranza e cercare appoggi “pesanti” nell’attuale maggioranza. Dando per scontato l’appoggio di Andrea Orlando e Gianni Cuperlo, il primo interlocutore (che ha già mostrato ampio interesse) è Dario Franceschini. Ma il governatore punta su altri due nomi che possono cambiare gli equilibri: Paolo Gentiloni e Walter Veltroni. Il presidente del Consiglio dimissionario, così come Marco Minniti, ha da settimane chiuso i canali con Renzi e, se ricevesse le necessarie garanzie, sarebbe disponibile a sostenere la corsa di Zingaretti. Stesso discorso per Walter Veltroni, che non ha mai nascosto la propria delusione per come “il senatore semplice di Scandicci” sta condizionando il dibattito interno al Pd. Inoltre l’ex segretario condivide con il governatore l’impostazione politica di un Pd allargato alla società, che è stata l’architrave degli anni ruggenti del modello Roma, tanto caro alla sinistra.

Se l’operazione “svuotamento” andrà in porto, Zingaretti partirà con i favori del pronostico al prossimo congresso che eleggerà il nuovo segretario del Pd. Anche perché Renzi, sempre che non decida di tornare in campo in prima persona, non ha ancora trovato un candidato in grado di ottenere lo stesso consenso. Matteo Richetti è considerato poco competitivo, Debora Serracchiani ancora meno. Certo, il quadro cambierebbe se Graziano Delrio decidesse di tornare sulle due decisioni che, per ora, lo escludono dalla contesa. Ma sullo sfondo, in caso di passaggio in minoranza, per l’ex rottamatore rimane la suggestione macroniana di un En Marche! all’italiana. «Ma a quel punto – chiosa la nostra fonte – sarebbe un soggetto minoritario, capace solo di intercettare qualche centrista in uscita da Forza Italia e in cerca di un nuovo approdo». D’altronde, solo qualche giorno fa, Goffredo Bettini – da molti considerato il padre politico di Zingaretti – aveva commentato così la prospettiva di un’uscita di Renzi dal Pd «Prego, quella è la porta».

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