Bacche di goji, zenzero, quinoa, toast di avocado. E poi l’irrinunciabile bubble tea, il té matcha, la bevanda inventata a fine anni ‘90 a Taiwan che prima ha invaso il mercato americano e poi quello delle principali città europee. Milano in testa, con cinque negozi dedicati. Se seguite le ultime tendenze nel campo del food&beverage e siete appassionati di bubble tea, però, c’è una novità: il bubble tea è stato superato. Nell’era della tecnologia tutto scorre con grande fretta e per il tè matcha potrebbe essere già giunto il momento di passare il testimone a un successore: il kombucha.
Cos’è? Un tè addolcito e fermentato con “coltura di kombucha”, un misto di batteri e lievito. La coltura, recita Wikipedia, “è simile a una frittella di colore chiaro spesso chiamato fungo”, anche se il termine tecnico è zoogleal mat. Le prime notizie della bevanda provengono dalla Cina e risalgono al 250 a.C., ai tempi della dinastia Qin. I cinesi la chiamavano “elisir della salute immortale”, perché credevano che il kombucha creasse un equilibrio tra milza e stomaco, aiutando così la digestione. Sembra non avessero tutti i torti, visto che il web è pieno di siti che ne decantano le proprietà antiossidanti, digestive, drenanti e chi più ne ha più ne metta.
Nel medioevo, precisamente nel 415 d.C., il kombucha giunse in Giappone con un debutto in grande stile: Kambu, un medico coreano, lo utilizzò per curare l’imperatore Inyko. In seguito a questo episodio – dal nome del medico, Kambu, e dalla parola cha, che in cinese significa tè – nacque il nome della bevanda così come la conosciamo. Secoli dopo, a cavallo tra Ottocento e Novecento, fu introdotto e diventò popolare in Russia e in Ucraina. A più di 100 anni di distanza dallo sbarco nel mercato russo, finalmente, anche il kombucha è arrivato da noi. Non ci resta che provarlo.