Un’idea pazza per ridurre il rumore nelle strade e nelle piazze. Non bastando il caos del traffico, dei passanti, dei venditori di strada (condizioni tipiche di ogni grande città africana), ad Accra hanno pensato che, per ridurre il rumore in eccesso, si potrebbe cominciare dai quelli emessi dai luoghi di culto, cioè chiese e moschee. E allora è arrivata la proposta del ministro dell’ambiente Kwabena Frimpong-Boateng: “Perché, anziché usare altoparlanti registrati, l’imam non utilizza WhatsApp per notificare ai fedeli che è arrivata l’ora della preghiera?”
La proposta non è piaciuta. Prima di tutto, anche se la soluzione sia “smart” all’apparenza, non lo è nella pratica. È difficile da realizzare, non coinvolge tutti (soprattutto la popolazione più anziana, non tanto pratica di social network) e, tutto sommato, non se ne vede la necessità. “Non vedo niente di male nel fatto che i musulmani, che si svegliano all’alba per pregare, vengano chiamati in moschea con dei megafoni”, ha detto un residente di Accra. “E poi li usano anche i cristiani”, ha aggiunto, dimenticando che le preghiere quotidiane, nell’Islam, sono almeno cinque.
In ogni caso, dal punto di vista pastorale, sarebbe molto sbagliato. Le moschee (e le chiese, certo) cercano di raggiungere la più ampia distanza possibile, per raggiungere il più alto numero possibile di fedeli. Alcuni stabili, altri di passaggio. Se uno non ha inserito il proprio numero nelle liste della moschea, sarebbe tagliato fuori dai messaggi WhatsApp dell’imam. E poi come fa a pregare? Alla fine una soluzione, visto che il caos è enorme, andrà trovata (senza per forza dover regalare i propri dati al proprietario di WhatsApp, che è – oh! – Mark Zuckerberg). Con ogni probabilità, si sceglierà di abbassare il volume delle chiamate alla preghiera. E chi vorrà sentire, sentirà.