Ma quale Aventino: ora il Pd vuole andare al governo (e Renzi rischia di rimanere da solo)

Che sia “del presidente”, ”di scopo” o “di transizione”, appare sempre più concreta la possibilità che il Pd partecipi al prossimo esecutivo. Solo Renzi, ormai, si oppone a un accordo coi Cinque Stelle, rischiando sempre più di rimanere isolato

Andreas SOLARO / AFP

«Ma pensate veramente che possiamo andare avanti ancora per molto con questa storia dei pop corn, tifando per la nascita di un governo Lega-Cinque Stelle per assistere alla loro disfatta? Qui il problema non è il loro fallimento ma quello del Paese». Lo sfogo è di un parlamentare considerato renziano. Moderatamente, ma pur sempre renziano. Facente parte, cioè, dei famosi “numeri” a cui l’ex segretario del Pd si è aggrappato finora per imporre la sua linea al Pd. Sono parole che fotografano lo stato d’animo con cui i dem si stanno approcciando a questa seconda fase delle trattative per la nascita del governo. Un processo lento, ma inesorabile, che sembra condurre verso una direzione chiara: in assenza di un accordo politico (sempre più lontano) tra centrodestra e M5s, per il Pd la prospettiva è quella di una forma di partecipazione al prossimo esecutivo. L’alternativa, sbandierata più volte da Matteo Salvini, è quella di un ritorno al voto. Un’eventualità che al Nazareno viene vista come fumo negli occhi, dato che il rischio di un (ulteriore) tracollo è più che concreto.

Calenda, Franceschini, Veltroni, Orlando, Cuperlo: sono solo alcuni dei nomi che, con sfumature diverse, si sono opposti all’intransigenza renziana, chiedendo che il Pd scendesse dal suo virtuale Aventino, dove si è rifugiato dopo la batosta elettorale. Se fino ad oggi le truppe dell’ex leader hanno sempre resistito, il perdurarsi dello stallo istituzionale sembra destinato a minare alle fondamenta il fortino renziano. Tant’è che gli stessi colonnelli del Giglio Magico (da Lotti alla Boschi, da Parrini a Marcucci) faticano a tenere a bada le spinte centrifughe. Non può essere un caso (e non lo è) che il portavoce di Renzi Marco Agnoletti si sia trovato due volte nel giro di pochi giorni a smentire delle ricostruzioni apparse su Repubblica e Stampa che parlavano della disponibilità di Renzi a ragionare sulle possibilità di un governo istituzionale, che tenesse dentro tutti i partiti, dai Cinque Stelle alla Lega.

Calenda, Franceschini, Veltroni, Orlando, Cuperlo: sono solo alcuni dei nomi che, con sfumature diverse, si sono opposti all’intransigenza renziana, chiedendo che il Pd scendesse dal suo virtuale Aventino, dove si è rifugiato dopo la batosta elettorale

In questo contesto, pesano le parole che il segretario reggente Maurizio Martina ha affidato alla sua pagina Facebook e che sgomberano il campo da qualsiasi dubbio: il Pd ora è in campo e vuole giocare la sua parte. Non si spiegherebbe altrimenti la tempistica del post in cui Martina offre al dibattito politico tre temi che ritiene fondamentali: l’allargamento del reddito di inclusione per azzerare la povertà, nuovi provvedimenti a favore delle famiglie a partire dall’assegno universale per i figli, misure urgenti per il lavoro con l’introduzione del salario minimo legale. «E’ l’inizio di un nuovo film – sottolinea ancora la nostra fonte dem – alla fine del quale il Pd si potrebbe davvero ritrovare al governo». Con buona pace dei cosiddetti ‘turborenziani’ che, più per strategia che per convinzione, continuano a parlare di distanze incolmabili con M5s e Lega. «Ma ormai è un gioco delle parti, tutti sanno che l’argine si è rotto e ora sarà un fiume in piena».

A questo punto il tema è semmai un altro. Posto che nessuno nel Pd vuole andare ad elezioni anticipate, occorre capire quali siano le prospettive di governo, sempre nel caso in cui, a sorpresa, Salvini e Di Maio non riescano a uscire dal tunnel in cui si sono infilati. Quelli che prima chiedevano opposizione a tutti i costi, ora si mostrano disponibili a fantasiose forme di governo: del presidente, di tutti, istituzionale, di scopo o “di transizione”, espressione coniata recentemente da Carlo Calenda. La maggioranza del Pd è pronta a percorrere questa strada, che però incontra la ferma contrarietà sia dei Cinque Stelle sia, soprattutto, della Lega.

A questo punto il tema è semmai un altro. Posto che nessuno nel Pd vuole andare ad elezioni anticipate, occorre capire quali siano le prospettive di governo, sempre nel caso in cui, a sorpresa, Salvini e Di Maio non riescano a uscire dal tunnel in cui si sono infilati

Resta l’opzione di un governo politico. Alla luce di questo, coloro che prima chiedevano a Renzi di scendere dall’Aventino per partecipare al confronto, ora non escludono un’intesa con i Cinque Stelle. Questa strada è percorribile solo se cambiano le condizioni in campo. Il primo sacrificato dovrebbe essere proprio Di Maio, colpevole, agli occhi dei dirigenti dem, di aver equiparato Pd e Lega in una politica “dei due forni” ritenuta umiliante ed offensiva. Al posto del giovane leader potrebbe trovare posto il presidente della Camera Roberto Fico, da sempre più incline ad un’intesa a sinistra piuttosto che con la Lega, ma osteggiato all’interno del suo stesso Movimento. Più probabile che un eventuale governo sostenuto da M5s e Pd possa fare ricorso a “eccellenze terze” in grado di garantire la tenuta istituzionale (e internazionale) del Paese. La strada è comunque molto stretta. Più stretta ancora è quella di un’intesa con il centrodestra. Benché i numeri siano più favorevoli a questa seconda ipotesi, infatti, la prospettiva di un governo con dentro sostanzialmente tutti tranne i grillini viene considerata impraticabile. Quel che è certo è che l’Aventino, tra qualche giorno, tornerà ad essere solo uno dei sette colli di Roma. Né più, né meno.

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