Nell’impasse politico generale di tatticismi, Berlusconi sì-Berlusconi no, aperture, chiusure, vertici, summit e retroscenismi vari, se c’è un posto dove la politica sta continuando a lavorare, quello è sicuramente il Ministero dello Sviluppo economico di Carlo Calenda. Mentre si apre la settimana della seconda tornata di consultazioni, in via Veneto a conti fatti si decide il futuro di oltre 5mila lavoratori. Cinquemila possibili esuberi, tra Embraco, Alcoa, Ilva, Italiaonline e Valtur, che vanno risolti. Governo sì o governo no.
Dopo la “scalatina” di Cdp al 5% di Telecom, che ha messo d’accordo tutti quelli che invece litigano per il governo, si parte con Embraco. A pochi giorni dalla fine del 2017, Calenda era riuscito a ottenere il congelamento dei 497 licenziamenti annunciati dalla società. E ora sta cercando di sondare, tramite Invitalia, la possibilità di cedere lo stabilimento torinese di Riva di Chieri ad altre realtà industriali. All’orizzonte ci sarebbero tre società interessate alle reindustrializzazione del sito: una israeliana, con fondi cinesi, che produce macchinari per la pulizia dei pannelli fotovoltaici; una italiana (si è parlato della torinese Astelav, che fa ricambi di elettrodomestici); e un’altra giapponese che ha già degli stabilimenti in Italia. Calenda ha confermato anche che lo strumento del fondo contro le delocalizzazioni è stato deliberato e potrà essere operativo già a fine mese. Da qui poi si capirà chi tra i lavoratori accetterà gli incentivi all’esodo e chi no. La proposta è di 60mila euro per chi si dimette entro aprile, 50mila euro per chi va via entro maggio, 35mila per chi lo fa per giugno-agosto e 30mila da settembre in poi.
Anche per Italiaonline il governo ha replicato il modello Embraco, congelando per tre settimane i 400 esuberi annunciati e stoppando i quasi 250 trasferimenti da Torino a Milano. Ora, l’11 aprile, bisognerà capire come andare avanti. Ma Calenda è già stato critico nei confronti dei vertici dell’azienda, che hanno appena approvato un piano di incentivazione da 6,7 milioni del top management. «Azionisti si pagano 80 milioni di dividendi, manager 6,7 di premi e 400 persone vengono licenziate. Non esattamente una gestione etica dell’impresa», ha detto Calenda.
Resta da risolvere anche la crisi Valtur, che ha avviato le procedure di licenziamento di oltre 200 lavoratori e cominciato a mettere i lucchetti ai villaggi turistici. Il Ministero dello Sviluppo economico porta avanti la contrarietà a soluzioni di liquidazione “spezzatino” e ha chiesto all’azienda di impegnarsi direttamente nella ricerca di un investitore interessato a mantenere unito il perimetro aziendale e occupazionale.
Mentre si apre la settimana della seconda tornata di consultazioni, in via Veneto a conti fatti si decide il futuro di oltre 5mila lavoratori. Cinquemila possibili esuberi, tra Embraco, Alcoa, Ilva, Italiaonline e Valtur, che vanno risolti. Governo sì o governo no
Ma l’agenda del ministro uscente non si esaurisce qui. Anzi, mentre gli altri si consultano e tramano strategie, questa settimana in ballo c’è anche una grossa fetta della siderurgia italiana. Il 6 aprile Calenda ha incontrato il gruppo Jindal sullo stabilimento di Piombino: il piano industriale verrà esaminato in questi giorni nei dettagli in una serie di incontri tecnici, prima della presentazione ai sindacati. Sul tavolo c’è anche la vertenza sullo stabilimento ex Alcoa di Portovesme, ceduto alla svizzera Sider Alloys, con 400 lavoratori rimasti in cassa integrazione appesi a un filo. Il ministro Calenda, il 9 aprile, ha festeggiato il suo 45esimo compleanno brindando all’ingresso dei lavoratori nella società con il 5% e un posto nel consiglio di sorveglianza: una novità assoluta in Italia. Confermata anche la partecipazione di Invitalia nel capitale societario con il 20 per cento. Prossimo appuntamento: 3 maggio, quando bisognerà parlare del piano industriale e anche di ammortizzatori sociali.
Più complicato è il caso Ilva, al centro dello scontro tra Arcelor Mittal e i sindacati. Il gruppo ha annunciato 4mila esuberi (anche se secondo l’Usb sarebbero in realtà 5.700), mentre ai 10mila lavoratori riassunti nella “nuova Ilva” vorrebbe applicare la cosiddetta “discontinuità contrattuale”. Il confronto al momento è paralizzato: l’11 aprile al Mise si capirà se la vertenza potrà andare avanti o meno. Mentre si attende anche il via libera dell’Antitrust europeo sull’operazione, atteso per il 23 maggio.
L’unico dossier a essere slittato in attesa di schiarite attorno a Palazzo Chigi è quello Alitalia. Il futuro della ex compagnia di bandiera dipenderà molto dal colore del governo che si formerà. Il termine per la presentazione delle offerte vincolanti scadrebbe il 10 aprile, ma l’assenza di un esecutivo ha portato a un rinvio. Il ministro Calenda ha assicurato che ci sono ancora spazi per la vendita nonostante il rallentamento legato alla situazione politica. Intanto, a smuovere le acque ci ha pensato il presidente di Cassa depositi e prestiti Claudio Costamagna, che ha aperto all’ingresso della partecipata pubblica come socio di minoranza. Una scelta che piacerebbe molto ai grillini, e non è un caso visto che Costamagna è l’unico che potrebbe restare in sella nel giro di nomine di Cdp.
Ma qui parliamo di Alitalia. E gli animi politici sono tutt’altro che d’accordo sul destino della ex compagnia di bandiera. Tranne che i due vincitori: Movimento cinque stelle e Lega sono contrari alla vendita e vorrebbero anzi nazionalizzarla. In ogni caso, non c‘è molto da aspettare ancora: il processo di vendita scade 30 aprile. Dopodiché qualcuno dovrà pur decidere. E a quel punto, senza un esecutivo, a farlo potrebbe essere ancora una volta Carlo Calenda. Da neo iscritto del Pd, ai Giovani democratici qualche giorno fa ha ribadito non a caso: «Ci siamo scordati che la politica è pagata per risolvere i problemi del presente».