Tratto da RidersMagazine.it
Non avrebbe fatto Bungee Jumping. Una volta gli capitò di trovarsi in montagna e di fronte a quelli che si lanciavano con l’elastico disse a un amico: «Non so quanti lanci ha fatto l’elastico, non conosco le condizioni. Non lo farei. Forse solo se mi portassi il mio, di elastico». Patrick De Gayardon de Fenoyl (1960 -1998), che chiunque abbia attraversato gli anni ʾ90 conosce come l’uomo no-limits di una nota marca di orologi aveva ben chiaro il senso del limite. Per lui, campione di Base jumping, surfer dell’aria, capace di tuffarsi da 12.700 metri senza ossigeno su Mosca (1995) e di lanciarsi da un aereo e rientrarci volando, lo sport estremo era fatto innanzitutto di limiti. «L’estremo è anche ragionevolezza, studio, calcolo, programmazione, pianificazione». Il rischio è calcolo. «In tutte le sfide ci sono rapporti di forza, ma bisogna rispettare l’avversario». Il rischio è rispetto.
De Gayardon era un tipo rispettoso. “Un randagio”, come disse chi lo vide arrivare in Italia la prima volta, con una storia familiare di abbandoni: non aveva mai conosciuto il padre, era cresciuto coi nonni, a Oulins, a due passi da Parigi. Studi nel convento dei padri Mariani a Lione. Giurisprudenza. Un introverso, che parlava poco, assorto. Dopo vari sport, a 20 anni scopre il paracadutismo (che in Francia ha una tradizione meravigliosa). Nel 1993 si lancia da un elicottero nel Sòtano de Las Golondrinas, il gigantesco canyon naturale messicano. È come lanciarsi in un cunicolo buio: apre il paracadute dopo essere penetrato in un pozzo profondo 376 metri e largo dai 63 ai 49 metri. A 24 anni è già uno dei più forti base jumper del mondo, a 25 è campione di Francia di caduta libera (vincerà un altro titolo e arriverà secondo).
L’estremo è anche ragionevolezza, studio, calcolo, programmazione, pianificazione
Ma de Gayardon ha già un’altra idea. Diventa uno dei pionieri dello skysurf, e realizza in caduta libera tutte le figure dello sci e del surf con una tavola da snowboard fissata ai piedi. Nel 1997 parte il primo campionato mondiale di skysurf ma intanto è venuta un’altra idea. O meglio l’ha vista, l’ha sentita, l’ha smussata nella testa. Ci sta lavorando da qualche anno. E ora è il momento.
Perché qui si tratta di volo, non di caduta. Di muoversi in orizzontale, non in verticale. Guardare in avanti, non in basso. E non su una macchina volante. Il passaggio allo skysurf già dice qualcosa. Ma il vero passo salto volo in avanti è il wingflight. La tuta alare. I precedenti tecnici sono sconfortanti: nel 1912 Franz Reichelt si era schiantato dalla Torre Eiffel con una tuta alata. I primi barlumi dell’oggetto vennero in mente a Leonardo Da vinci, col famoso disegno a forma di membrana pennuta da applicare alle braccia. Andando indietro il resto è mitologia, magia, parapsicologia. San Giuseppe Desa da Copertino nel XVII secolo aveva più volte agghiacciato gli astanti con fenomeni di levitazione. Le streghe già da prima del Medioevo volavano, come è noto, con scopa o senza. Gli sciamani, dall’Australia alle Indie, pure. E giù indietro fino alla fine di Icaro.
Si tratta di volo planare, non di volo verticale. Lui racconterà: «Senti una strana pressione sulla schiena. In quel momento vuol dire che l’aria diventa portante. Ti senti aspirato da una ventosa gigante». Patrick De Gayardon, di fatto, è il primo uomo volante della storia
L’altra idea, quella del volo in avanti, gli si chiarisce definitivamente guardando il Petaurus breviceps, il Petauro dello Zucchero, più comunemente conosciuto come scoiattolo volante del Madagascar. Gayardon mette a punto una tuta alare con tre superfici che riempiono lo spazio tra corpo e entrambe le braccia, e in mezzo alle gambe. È un modo di giocare con lo stallo e le correnti, di raggiungere i 180/200 kmh, cadendo a 90 kmh, e mantenendo un angolo di discesa di circa 30 gradi. È soprattutto un modo di fare anche 9 km in avanti, la distanza maggiore mai percorsa da un uomo in caduta libera. Si tratta di volo planare, non di volo verticale. Lui racconterà: «Senti una strana pressione sulla schiena. In quel momento vuol dire che l’aria diventa portante. Ti senti aspirato da una ventosa gigante». Patrick De Gayardon, di fatto, è il primo uomo volante della storia.
Il resto sono problemi tecnici. Un incidente stupido. Succede. È successo alle Hawaii il 13 aprile 1998 durante un volo di messa a punto. Il paracadute principale rimane impigliato nell’imbragatura. Quello ausiliario si impiglia in quello principale. Niente di superbo (come Icaro), niente di irrispettoso. Niente di non calcolato: anche la morte rientra nei calcoli dei randagi rispettosi, che esplorano.