C’è una frase che ho detto, letto e sentito dire innumerevoli volte in questi anni: “Non esistono più gli uomini di una volta!“. Quasi sempre, il proclama è accompagnato da un tono affranto, da una palese insofferenza nei confronti dei maschi dell’oggi e da una specie di retorica languida su questi uomini mitologici: esemplari virili per i quali la virtù femminile era un valore incondizionato; quelli che prendevano l’iniziativa; quelli perfettamente consapevoli della grazia concessa a ridosso delle nostre parti anatomiche più intime. Uomini che mai ci avrebbero proposto di fare fifty-fifty col conto in pizzeria, che non ci avrebbero mai detto “Vieni a scopare da me? Prendi il 14, ti lascia vicino”. Uomini che giammai si sarebbero sentiti minacciati da un hairy-pussy. Uomini, insomma, estinti.
Da un po’ di tempo, tuttavia, una porzione della mia coscienza si interroga attorno a un dilemma cruciale: ma noi, siamo forse le donne di una volta? No, la risposta è no, e non solo perché molte di noi non sanno cucinare, rassettare e rammendare; non solo perché molte di noi sono libere di perseguire obiettivi personali non strettamente legati all’universo familiare; non solo perché nostra madre o nostra zia non hanno mai inviato un selfie erotico a nessuno, né commentato le prestazioni degli amanti su whatsapp con le amiche, mentre noi queste cose le facciamo, per piacere, non siate false. Mi sono chiesta, in altri termini, quanto la metamorfosi maschile sia collegata alla nostra, poiché uomini e donne non appartengono a mondi distinti, separati dagli argini della società, quanto piuttosto a un sistema unico e allargato, i cui elementi si condizionano a vicenda. Mi sono chiesta quanto ci sia di vero e quanto di posticcio nei pregiudizi di genere che quotidianamente fruiamo e alimentiamo.
In mio soccorso è arrivata addirittura un’indagine scientifica. Da una recente ricerca sull’identità maschile condotta da Gfk con il supporto di Ibsa Farmaceutici Italia, nell’ambito della campagna Ticket To Love, emerge infatti il profilo di un maschio nuovo, rigenerato nei suoi tratti essenziali, decisamente migliorato rispetto al precedente modello “uomo che non deve chiedere mai”. Se da un lato il campione di 1000 intervistati conferma il declino definitivo del cosiddetto maschio alfa, protettivo e dominatore, è pur vero che l’uomo di nuova generazione si presenta a noi con innovative funzioni, al punto da indurci una colossale domanda collettiva: non è forse ora di smetterla con il rimpianto gratuito per gli “uomini di una volta che però purtroppo non esistono più?”
Da una recente ricerca sull’identità maschile condotta da Gfk con il supporto di Ibsa Farmaceutici Italia, nell’ambito della campagna Ticket To Love, emerge infatti il profilo di un maschio nuovo, rigenerato nei suoi tratti essenziali, decisamente migliorato rispetto al precedente modello “uomo che non deve chiedere mai”
Insomma, avete presente quando diciamo che il maschio contemporaneo è incerto, indeciso, inconcludente, irrisolto, parolaio, immaturo, pigro, egoriferito e sessualmente deludente? Ecco, abbiamo ragione, ma c’è dell’altro, e quanto più continuiamo a non vederlo, quanto più continuiamo a massacrare l’immaginario virile, tanto più suoniamo parziali, esattamente come suonerebbero loro alle nostre orecchie se dicessero che le donne di oggi sono tutte “Schizzate, frustrate, indecise, opportuniste, poco serie (cioè zoccole) e naturalmente incapaci ai fornelli (a differenza delle loro madri)”. Ecco, c’è sempre dell’altro e questa ricerca, presentata a Milano l’11 aprile al Palazzo della Regione, ce lo dimostra.
Precisiamo che l’indagine a cui facciamo riferimento è stata condotta su uomini tra i 35 e i 70 anni, quindi se siete estimatrici del genere toy-boy, sommelier degli under30, collezioniste di millennial veri, prendete con le pinze i dati che discutiamo. Per tutte le altre, ecco una serie di spunti interessanti:
1. Per l’88% degli uomini il sesso rimane una componente molto importante della vita. Alziamo i calici al cielo e brindiamo. Gli uomini non si stanno trasformando in vegetali: accoppiarsi è un’attività, ad oggi, ancora di loro gradimento.
2. L’83% di essi apprezza la donna intraprendente. Voi direte: “Eccerto, così non devono manco fare la fatica di provarci loro, o di corteggiarci, o di offrirci una cena”. D’accordo, potrebbe significare ciò, ma significa anche che questo nuovo uomo riconosce l’autonomia femminile, non si sente minato dal successo di una compagna, non vede la sua virilità violata da una donna che gli offre la cena (perché quella donna è economicamente abbastanza indipendente da poterlo e volerlo fare). E questa stessa “parità”, l’uomo contemporaneo potrebbe riconoscerla anche su altri terreni del vivere condiviso (al netto di tutti i pregiudizi e gli stereotipi di ancestrale maschilismo che permeano la cultura nella quale viviamo e che ne sono l’autentico peccato originale). Forse qualcuno nei sondaggi ha mentito, è probabile, e molti sono più bravi a parole che nei fatti, d’accordo. Ma gli uomini intervistati non hanno risposto “voglio una donna immobile, sottomessa, obbediente, silenziosa e servile”. Hanno risposto che apprezzano una donna intraprendente e forse, qualche decennio fa, il verdetto non sarebbe stato altrettanto unanime.
Per l’88% degli uomini il sesso rimane una componente molto importante della vita. Alziamo i calici al cielo e brindiamo. Gli uomini non si stanno trasformando in vegetali: accoppiarsi è un’attività, ad oggi, ancora di loro gradimento
3. Per il 62% del campione, la priorità assoluta a letto è appagare la donna. Il piacere femminile balza al primo posto tra gli obiettivi virili. Tralasciando la facile ironia grazie alla quale ci lamentiamo sempre e comunque dell’operato maschile in camera da letto, proviamo a essere oneste: 50 anni fa gli uomini forse non si ponevano altrettanto il problema di “far godere” la propria compagna; le donne stesse, oggi, sono più consapevoli del proprio corpo (non tutte, non del tutto, ma più delle generazioni precedenti), sanno che nel sesso si dà e che nel sesso si riceve (lo hanno, se non altro, imparato da Pornhub), sanno che il piacere non è un’utopia e fortunatamente talvolta si relazionano a uomini che non pensano che il punto G sia uno schema calcistico. Non è questa la sede per indagare le cause di questo nuovo approccio alla sessualità, che ci imporrebbe una digressione sconfinata, ma indipendentemente che si tratti di autentica, libidinosa, genorosità, o magari di puro autocompiacimento narcisista, il dato mi pare abbia una ricaduta vantaggiosa per tutti. Insomma, per il 62% degli uomini il primo obiettivo del sesso è il piacere femminile e a me sembra un enorme passo avanti rispetto a quando l’orgasmo delle donne era un tema a metà tra la superstizione popolare e il miracolo leggendario; e il clitoride, un minuscolo e introvabile oggetto del mistero.
4. Alla domanda su quali siano gli aspetti più importanti della vita, per il 47% degli intervistati, la prima risposta è “Occuparmi della famiglia e della casa”. Seguono “un lavoro sicuro e uno stipendio dignitoso”, “il benessere economico”, “stare con moglie/fidanzata/partner” e “migliorare la propria cultura e le proprie conoscenze”. All’ultimo posto, in ventesima posizione, compare “L’impegno politico”. L’uomo di oggi, dunque, non appare più un uomo orientato al solo lavoro, alla carriera, alla gratificazione pubblica del sé; egli assume, anzi, le sembianze di un uomo più intimista, rivolto innanzitutto alla sua sfera privata e personale, più attento ai suoi bisogni, più intento ad appagarli. Accidenti, che disdetta! È vero, viviamo nell’era degli uomini con le sopracciglia ad ali di gabbiano, ma è vero pure che magari gli stessi uomini potrebbero (ripeto: potrebbero, non è detto che poi lo siano) essere compagni e padri più presenti, più attenti, più coinvolti nella propria dimensione familiare, affettiva ed emotiva di quanto lo siano stati i loro padri (non tutti, questo è ovvio, esistono frange di impenetrabile arretratezza culturale, nella società).
Un uomo che può mostrarsi tenero è migliore di un uomo obbligato a essere forte. Un uomo che può perdere è migliore di un uomo tenuto a vincere. Un uomo indeciso è migliore di un uomo tiranno
5. Last but not least, il dato che mi ha interessata di più: il 77% del campione intervistato ha dichiarato che si può “rimanere virili anche nelle coccole”. Tralasciando il fatto che, se esistesse un contro-campione femminile, probabilmente una buona percentuale delle intervistate si dichiarerebbe disgustata da un uomo che usi la parola “coccole”, il dato mi sembra molto rincuorante. Questi vituperati, maltrattati e sviliti uomini contemporanei, sono uomini capaci di tenerezza. Sono uomini che possono piangere, possono essere fragili, possono prendersi cura di sé e possono prendersi cura della propria compagna, ma a volte, oltre a farla sentire protetta e rassicurata, hanno bisogno di sentirsi protetti e rassicurati pure loro, e non se ne vergognano, perché in definitiva non siamo mica così diversi. Non illudetevi, però. Non è tutto oro quello che luccica. Solo 1 su 4 è un papabile Family Man. Il resto della torta è sempre composta dagli intramontabili Forever Young, dagli Aspiranti Leader e dagli Uomini In Crisi, tutti cluster (come direbbero i signori del marketing) che eviteremmo con la stessa perizia con cui di solito si evitano i virus gastrointestinali.
Ad ogni modo, per quanto questi uomini ancora non siano abbastanza perfetti, bisogna ammettere l’ipotesi che siano migliori di quelli che li hanno preceduti. Al contrario, spesso, come fanno tutte le persone intellettualmente vecchie, diamo per scontato che non lo siano o, peggio mi sento, facciamo scontare a certi, le colpe di certi altri. Ovvio, bisogna accettare che questi stessi uomini a volte siano deboli, insicuri, mestruati, vanitosi, indecisi, d’accordo. Ma sono uomini che includono la tenerezza nel ventaglio delle loro emozioni possibili, e questo per me è un grande progresso.
Perché un uomo che può mostrarsi tenero è migliore di un uomo obbligato a essere forte. Un uomo che può perdere è migliore di un uomo tenuto a vincere. Un uomo indeciso è migliore di un uomo tiranno. Un egoriferito che sa parlare di sé è comunque migliore di quegli uomini che covano grovigli di frustrazione irreversibili, perché non hanno neppure idea che a volte si possa semplicemente parlare. Un uomo che usa il contorno occhi direi che è comunque migliore di un uomo che non si lava, perché l’omm addà puzzà.
Insomma, per quanta strada ci sia ancora da fare, il machismo pare procedere lentamente e inesorabilmente sulla via del tramonto, e gli stereotipi classici tremano sotto il peso di una società mutata. A noi non resta che decidere da che parte stare: sulla sponda nostalgica che rimpiange un uomo che non esiste più, e col quale forse non sarebbe neppure andata poi così tanto d’accordo? Oppure sulla sponda presente, ad amare un uomo che impara, intende, prova, pretende e sceglie di trattarci da pari, con tutto ciò che questo comporta?