Trullo. Estrema periferia romana. Una borgata incastrata tra la Portuense e la Magliana. Prima, per vergogna o imbarazzo, le persone non ammettevano di vivere proprio qui, preferivano dire che abitavano all’Eur. Il Trullo è stata a lungo una zona fortemente degradata: malavita, regolamenti di conti, e in particolare spaccio di stupefacenti.
Il nome originale dell’ampio quartiere nei pressi dell’Eur è “Costanzo Ciano“, ed era stato inaugurato nel 1940 dallo stesso Mussolini, come residenza temporanea per i cittadini del Rione Monti, sfollati a causa della ricostruzione di Via dei Fori Imperiali. Nel corso del tempo, però, ha cambiato nome più volte.
Dopo la caduta del fascismo viene chiamato Duca d’Aosta. Nel dopoguerra, infine, prende il nome attuale di Borgata del Trullo. Probabilmente chiamato così per ricordare il Trullo dei Massimi, ossia il sepolcro romano che nell’antichità faceva da riferimento ai viandanti, situato sulla riva destra del fiume Tevere.
Nella seconda metà degli anni Quaranta (in un periodo di forti ristrettezze economiche) molte famiglie occupano abusivamente il territorio, soprattutto i più poveri, provenienti dal Sud Italia. Una curiosità: negli anni Sessanta i residenti cercano nuovamente di far cambiare il nome – in Valle Portuense o Borgata San Raffaele-, perché secondo loro Trullo faceva rima con “citrullo”.
Oggi il Trullo si è trasformato in un quartiere multietnico, dove l’integrazione è ben visibile. È una periferia fatta di sguardi. Passeggiare ora per queste strade significa incontrare la cordialità dei residenti. Anche a livello urbanistico è migliorato: al posto di case trascurate ci sono palazzine più rifinite. E nel corso degli ultimi anni, un fiume di parole e di vernice colorata ha invaso le strade, i muri delle case e delle scuole, la chiesa, il mercato comunale. Grazie alla poesia.
Nel 2010 sette anonimi ragazzi scelgono di fare qualcosa per il quartiere. Accomunati tutti dalla grande passione per la poesia, decidono di iniziare a scrivere in versi sui muri più degradati. Vogliono lanciare un messaggio. Nonostante il fango che viene gettato su questa città, ci sono ancora giovani che non scappano, che cercano di rendere Roma un posto migliore. Inumi Laconico, Er Bestia, Er Quercia, Marta der Terzo Lotto, Er Falco, Er Pinto e ‘A Gatta Morta: questi gli pseudonimi con i quali sono ormai diventati famosissimi in tutta la città, pubblicando anche un libro.
Sono i Poeti Der Trullo: esprimendosi in versi sono riusciti a ridare dignità ad un quartiere difficile, ostile. Sono il vanto del Trullo, il vanto di Roma. Camminando per le strade della borgata si viene così abbracciati da poesie e murales. Dalla via principale – Via del Trullo – si raggiunge una coloratissima piazza, il fulcro del quartiere. E proprio qui abbiamo incontrato il fondatore del gruppo, Inumi Laconico, che ci ha parlato di come è iniziata quest’esperienza e di quanto è cambiato il quartiere da quando ci sono loro. C’è ancora molto da fare per questo quartiere, i problemi non sono scomparsi, ma la Poesia vince sempre sul brutto.
Come è cominciato tutto?
Abbiamo iniziato nel 2010 io e Bestia, scrivevamo tra di noi. Poi abbiamo cominciato a scrivere sui muri e si sono aggiunti gli altri. Abbiamo elaborato il “Manifesto del Metroromanticismo”, dove spieghiamo il nostro modus operandi. È chiaro che monumenti ed edifici storici non si toccano: la nostra pagina bianca sono i muri degradati, per lasciare un po’ di poesia. Così chi passa può catturarla con una foto o semplicemente leggerla. Usiamo solo pennarelli delebili, per non invadere la città, quindi con il tempo non si leggono più.
Siete i Poeti Der Trullo. Tutti vi conoscono con i vostri pseudonimi, nessuno sa chi siete davvero. Però immagino che in famiglia lo sappiano.
Le nostre famiglie e gli amici più stretti sanno che siamo noi a scrivere queste poesie. Sono stati da subito molto felici. Ovviamente gli abbiamo chiesto di non smascherarlo, è un voto che abbiamo fatto. Non riveliamo i nostri nomi e non facciamo girare foto che ci ritraggono, perché ciò che conta è solo la poesia. Quindi loro ci considerano un po’ dei “poeti supereroi”, che scrivono ma non si fanno vedere. Infatti abbiamo realizzato anche un murales in collaborazione con uno street artist romano, Solo, che raffigura proprio un supereroe della Marvel.
Voi scrivete molte poesie in romanesco. Come mai avete scelto il dialetto?
Il dialetto era un’esigenza naturale per noi, perché è il nostro linguaggio. Ma ora scriviamo anche in italiano, ci alterniamo, perché abbiamo una lingua meravigliosa e dobbiamo valorizzarla.
Ispirazioni?
Ognuno di noi ha le proprie. A me, ad esempio, piace molto Pasolini. Sicuramente per quello che ha fatto per Roma, per i quartieri…tra l’altro veniva anche qui a giocare a pallone. Per quanto riguarda i poeti, fonte d’ispirazione sono stati Belli, Trilussa, Pascarella, Pasquino. Ma anche grandi personaggi come Gabriella Ferri, Alvaro Amici: tutto quel filone di romanità che comunque si confronta col poetico.
Come vi coordinate? Vi incontrate per decidere le poesie da scrivere per la città?
C’è un ruolo di editing da parte mia, che gestisco anche i social e il sito. Le poesie passano attraverso me (che posso dare un suggerimento) perché mi sento un po’ il papà del progetto. Non sempre ci incontriamo tutti, poiché ognuno ha la propria vita, il proprio lavoro, c’è chi non vive a Roma adesso. Il tempo passa.
Il tempo passa, e infatti ultimamente sui social non siete attivi come qualche anno fa. Come mai?
È vero. Adesso ci stiamo concentrando sul pubblicare gli altri. Attualmente abbiamo una sorta di contenitore virtuale con centinaia di poesie che le persone ci mandano per email. Anche di ragazzi di sedici, diciassette anni che hanno iniziato a scrivere poesie grazie a noi, per questo vogliamo aiutarli.
Quindi, dopo di voi, hanno cominciato a scrivere anche altri.
Sì, in tanti. Ed è stata una vera soddisfazione. Molti sono ragazzi di zona (ma anche di quartieri più difficili come Spinaceto e Tor Bella Monaca) che hanno iniziato a scrivere e ci mandano le foto. Raccontano le difficoltà della loro periferia Magari non tutte sono degne di nota dal punto di vista di stile o di forma, però hanno un contenuto molto forte. Mentre prima ci si vergognava un po’ a scrivere poesie, ora qualcosa è cambiato. Nell’immaginario della periferia, la poesia è sempre stata vista come qualcosa di staccato dalla realtà, dal quotidiano, troppo femminile e da emarginato. Invece, da quando abbiamo iniziato a farci conoscere, scrivere poesie è diventato un vanto. Su Instagram sono sbocciati tanti profili, molti con un soprannome in romanesco.
Come hai visto cambiare il quartiere nel corso di questi anni, da quando avete cominciato la vostra attività?
Ho vissuto il Trullo degli anni Novanta e c’era il degrado totale, soprattutto umano. Da lì la spinta di fare qualcosa di costruttivo per il mio quartiere. E gli effetti positivi si sono visti: la gente ha iniziato ad essere fiera di vivere al Trullo, mentre prima era una vergogna. Quando hanno iniziato a conoscerci in tutta Roma eravamo diventati un fiore all’occhiello per quelli che vivevano qui. Questo poi ha dato il via ad una serie di iniziative.
Ad esempio?
Nel 2013 si sono aggiunti i Pittori Anonimi del Trullo. Sono un gruppo folle! Loro hanno cominciato, di notte, a colorare le facciate delle case e nessuno sapeva chi fossero. Ti posso però dire che sono molto grandi d’età, sono tutti ultracinquantenni.
E come hanno reagito gli abitanti?
La maggior parte sono contenti. Alcuni invece, puristi della periferia, vorrebbero che i muri fossero sporchi, degradati. Anche su Facebook c’è stato un filone di gente che si lamentava di tutti questi colori. “Non siamo mica all’asilo”, scrivevano. E invece no, sono bellissimi: arrivi nel quartiere ed è tutto colorato, gioioso. Il Trullo si è davvero trasformato. Addirittura gente che era andata fuori per alcuni anni, poi è tornata e non lo riconosceva più. Ed è stato merito anche delle persone, che sono a loro volta cambiate.
Sono tutti sorridenti, sembrano felici di vivere qui e di passeggiare in queste strade.
Il Trullo è sempre stato un paese, essendo un po’ isolato dal resto della città. A differenza della Magliana, non è un quartiere di passaggio. E tra poesia e colori si è unito intorno a un’idea, un progetto. È migliorato anche per questo.