Qualche giorno prima di Pasqua, sui muri di Roma sono apparsi dei poster contraffatti delle più importanti marche di pasta italiana opportunamente mascherati a bestemmia dallo street artist Hogre. «Se dio fosse spaghetto», recitava il copy nelle sue multiple variazioni, concludendosi nel blasfemo «Dioscotto». L’operazione, che certamente ha del situazionista, è in realtà una campagna di sensibilizzazione pubblica messa in moto dalla comunità pastafariana, costituitasi quasi quindici anni fa con spirito patafisico e satirico, che oggi torna a far sentire la sua voce per lottare per l’abolizione del reato di bestemmia.
Esatto, reato di bestemmia. Perché anche se in molti non se lo ricordano più, l’Italia prevede ancora nel proprio ordinamento — più precisamente al comma 1 dell’articolo 724 del codice penale, aggiornato e modificato l’ultima volta nel 1999 con Decreto Legislativo n. 507 — la tutela giuridica di dio, ovvero, come lo definisce il sito dell’Unine degli Atei Agnostici Razionalisti, «una “persona” la cui esistenza è indimostrabile», e punisce il “reato” — ma attenzione, solo se riguarda dio; madonna, angeli e santi non contano nulla— con una pena amministrativa, ovvero una multa.
Non è certo una novità, l’apostasia, ovvero il rifiuto del proprio credo, di cui la bestemmia è atto probatorio numero uno, è reato in 22 stati al mondo e, in 12 di questi — Afghanistan, Iran, Malesia, Maldive, Pakistan, Mauritania, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Somalia, Sudan, Emirati Arabi Uniti,Yemen arrivano addirittura a punirla con la morte, pena prevista in 5 paesi anche per il solo reato di blasfemia, come riporta sempre la UAAR, la pena può essere la morte.
Ma mentre difficilmente ci potrà sorprendere l’esistenza di questo reato assurdo in quei 22 paesi, che sono unanimemente riconosciuti, in primis proprio dall’Italia, come paesi con gravissimi problemi di libertà di espressione e di pensiero, dovrebbe quantomeno stranirci che, ancora nel 2018, in un paese come l’Italia che si dichiara laico e che si costituisce attorno alla libertà di autodeterminazione dell’individuo, l’aggressione verbale ai danni di una entità la cui esistenza è indimostrabile sia ancora ritenuta un vilipendio e un reato.
Qualche tempo fa, lo stesso Hogre, autore dei poster romani di fine marzo, era stato denunciato dalla polizia per “offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di cose”, un reato identificato al codice 404 del codice penale italiano. La dimensione del paradosso e della contraddizione nella dicitura “Religione dello Stato” è palese almeno quanto perseguire, in un Paese che difende la libertà di espressione, espressioni che per molti italiani fanno parte del parlar comune e si sono ormai trasformati in intercalari.
Ma è a un livello ancora più alto del semplice sproloquiare popolare, in cui la bestemmia, come le parolacce, la fa da padrona, che il problema di perseguire la bestemmia, l’apostasia e di conseguenza l’eresia verso una religione, oltre che ad essere assurdo, è sbagliato.
Se togliamo il classico porcodio da bar, da stadio o da strada, il concetto di bestemmia è intrinsecamente legato infatti a quello dell’espressione di una eresia, ovvero di qualcosa — un discorso, una teoria, una opinione — che esce radicalmente dal pensiero comune e fino a quel momento accettato da una comunità e ne propone il superamento, la negazione, o quanto meno la messa in forte discussione.
Maajid Nawaz, scrittore e politico liberaldemocratico britannico, ha iniziato il suo breve saggio intitolato On Blasphemy con un concetto che dovremmo ricordarci sempre quando parliamo di rapporti tra opinioni di maggioranza e quelle di minoranza: «Ogni filosofo, ogni profeta, ogni scienziato e ogni grande riformista politico e sociale ha iniziato il suo cammino come un eretico». Da un insieme chiuso e compatto non potrà mai verificarsi una scarto dalla norma abbastanza potente da alimentare l’evoluzione di quell’insieme. Che poi è un po’ quello che il matematico Kurt Gödel, nel 1931, aveva teorizzato con il suo teorema dell’incompletezza per il mondo della matematica e della logica.
Di più, lo stesso metodo scientifico teorizzato da Galileo si potrebbe leggere come la più grande depenalizzazione del reato di eresia della storia del pensiero umano. Perché cos’è, se non la legalizzazione del pensiero eretico, un metodo che impone la riformulazione di una teoria o di tutto un sistema teoretico, ogni qualvolta appare un evidenza che lo nega? La scienza, senza l’eresia del pensiero laterale e alternativo, non sarebbe mai esistita. E mica è un caso, infatti, che la Santa Inquisizione, ovvero l’organismo che per secoli ha preservato l’ortodossia della Chiesa, abbia colpito duramente proprio il fisico fiorentino, obbligato all’abiura per sopravvivere alle proprie teorie.
Insomma, a distanza di 500 anni da quei giorni oscuri in cui scoprire pianeti e dimostrare la non centralità dell’Uomo nell’Universo era una bestemmia bella e buona, continuare a perseguire i bestemmiatori, gli eresiarchi del porcodio, seppur con multe amministrative e non con il carcere o la pena di morte, non è solo un atto violento e liberticida, ma, ancor di più, è un atto contrario all’essenza del mondo democratico e scientifico che l’Occidente sta cercando di costruire da qualche secolo. E forse, come qualcuno ha già detto, è proprio ora di andare oltre.