È noto a tutti che il nostro Paese sottopone i suoi cittadini a una pressione impositiva troppo “burocratizzata” e gravosa rispetto agli effettivi servizi che lo Stato rende e, per attuare il suo prelievo fiscale, utilizza mezzi che troppo spesso risultano inadatti allo scopo.
È proprio tale inadeguatezza a rendere urgente una riforma sistematica del nostro attuale sistema tributario, soprattutto sotti i seguenti profili: (i) riordino della giustizia tributaria, allineandola allo standard qualitativo delle altre giurisdizioni; (ii) equità del prelievo impositivo, parametrandolo all’effettiva capacità contributiva di ogni singolo contribuente; (iii) lotta all’evasione fiscale, soprattutto nei confronti dei “grandi” evasori; (iv) semplificazione dei rapporti con l’amministrazione finanziaria e conseguente alleggerimento degli adempimenti fiscali e contabili; (v) istituzione di un codice tributario in grado di “riassumere” e “razionalizzare” tutta la materia.
I predetti obiettivi, purtroppo, non sono tutti contemplati nell’ultima bozza del nuovo “contratto per il governo del cambiamento” tra Movimento 5 Stelle e Lega, che presenta alcune criticità di non poco conto.
Innanzitutto, con riferimento alla riforma della giustizia tributaria, nel “contratto” vi è solo la (pur apprezzabile) previsione dell’“equidistanza” del giudice tributario (specializzato nella materia) tra fisco e contribuente, ma manca qualsiasi riferimento alla “qualità” delle pronunce dei giudici tributari, che dovrebbero essere espressione di “civiltà giuridica” e non, come spessissimo avviene oggi, di mera tutela della ragion di Stato.
In secondo luogo, lascia perplessi il fatto che la lotta all’evasione sia stata improntata sul semplice inasprimento dell’esistente quadro sanzionatorio, in quanto non viene considerato che ciò di cui è attualmente carente il nostro sistema tributario è la “certezza della pena”, e non la sua misura.
È noto a tutti che il nostro Paese sottopone i suoi cittadini a una pressione impositiva troppo “burocratizzata” e gravosa rispetto agli effettivi servizi che lo Stato rende e, per attuare il suo prelievo fiscale, utilizza mezzi che troppo spesso risultano inadatti allo scopo. È proprio tale inadeguatezza a rendere urgente una riforma sistematica del nostro attuale sistema tributario
Infine, non convince per nulla la sostituzione dell’attuale sistema delle imposte dirette con la tanto agognata flat tax, per la quale il clamore mediatico è – a parere di chi scrive – del tutto ingiustificato.
Tralasciando i profili di (in)costituzionalità e la sua attuale formulazione (fatta di due aliquote che, di fatto, renderebbero il sistema fiscale non più “flat”), non è ben chiaro dove il nuovo governo reperirà i fondi per finanziare la spesa pubblica, posto che il mancato gettito dovuto all’adozione della flat tax potrebbe comportare una perdita tra i 20 e i 100 miliardi di euro.
Senza contare, poi, che gli effetti di una “tassa piatta” già sono visibili nel nostro Paese con i piccoli contribuenti che adottano il “regime forfettario” e che un eventuale ampiamento di detta misura anche ai grandi contribuenti (ossia quelli che attualmente scontano un’imposizione fiscale superiore al 15-20%, che sono solo il 24,92% del totale) potrebbe comportare gli effetti recessivi che si sono visti, ad esempio, in Slovenia e in Russia.
Ben vengano, invece, alcuni punti del programma di riforma fiscale del nuovo governo, come: la compliance fiscale tra Fisco e contribuente per evitare eventuali contenziosi, alla quale potrebbe giovare l’adozione dell’istituto del silenzio-assenso alle istanze di annullamento in autotutela; la previsione dell’onere della prova sempre a carico dell’Erario; la digitalizzazione della giustizia tributaria e dell’amministrazione finanziaria e conseguente abrogazione di strumenti ormai superati (come il redditometro) e adempimenti superflui (come lo spesometro); la responsabilità diretta dell’amministrazione finanziaria per i danni cagionati dalla propria illegittima attività; una riscossione più equa nei confronti dei contribuenti collaborativi (magari rimuovendo ulteriori aggravi come gli interessi moratori o gli aggi di riscossione).
In questa fase, tuttavia, non ci rimane altro che attendere il perfezionamento del “contratto” e vedere le reazioni dei mercati internazionali a questa nuova fase della storia politico legislativa Italiana.