Il bastone. …che poi, c’è una forma di didattica bravura – ne dirò dopo – didatticamente indiscutibile. Solo che. Pare quasi incredibile. Tutto è insapore. Inodore. Inasprito dal niente. Perfino l’ironia. Turgidamente fastidiosa. Pare uno che ti offra un bicchiere di vino buono. Invece è sabbia. Inutile sabba di aggettivi, ecco. Sproporzionato rispetto all’oggetto, al racconto. Esempio. Istruzioni per superare le vecchiette penso che possa ambire alla statuetta del racconto più brutto mai letto nel 2018. Il titolo dice tutto. Lo scrittore illustra una serie di strategie per “superare per strada una vecchietta”, evitando la “sensazione strana, simile a un piccolo fastidioso vortice, come un appetito non soddisfatto” provocata dalla vile tracotanza del forte – voi – sul debole – la vecchietta, il cui “incedere” è, va da sé, “claudicante”. Il racconto, se ci fosse Kafka, sarebbe colmo di ripugnanti ossessioni, se ci fosse Pirandello di fitte esistenziali, se ci fosse Buzzati di fantomatiche crudeltà. Invece, in questo caso, l’espediente – scarico di livore e di tensione – è un modo come un altro per dar sfoggio di una vaga intelligenza narrativa. Non c’è sugo né sangue. E le note a margine – note musicali, di Nicola Piovani – sono astruse, fastidiose: i libri si leggono senza contorno, sconfinando negli ignoti verbali, a cosa serve il pentagramma? Altro esempio. Tristezza per una zucchina. Un tizio cammina, «con un sacchetto di plastica nel quale porto un barattolo di yogurt e un po’ di frutta e di verdura». Il sacchetto si scassa. A rimetterci «è una zucchina di media grandezza, di forma piuttosto regolare e di colore verde scuro, leggermente puntinato di un verde più chiaro» (lo scrittore sa descrivere una verdura meglio che un volto umano). Il tipo butta la zucchina nel cassonetto. Il gesto si rivela fatale e la zucchina gli ritorna in mente per il resto del breve – fortuna nostra – racconto, con tanto di conati sentimentali: «Provo un malessere pungente, a metà fra una sensazione di vertigine e un sentimento di acuta nostalgia». Non fosse nato Pirandello, appunto, a fecondare con la scrittura l’assurdo e il grottesco, il racconto, per quanto insipido, sarebbe pure commestibile. Insomma, Laura Morante, attrice di ‘chiara fama’, dalla bravura patente e dalla bellezza immacolata, esordisce alla scrittura e recita la parte della scrittrice. Brava lo è, illecitamente vintage – sembra una coetanea di Pirandello – ma… senza nulla da raccontare. Terzo esempio. La mia amica Giovanna. Il racconto che apre la danza. Una tizia vede l’amica, moglie e madre felice, sbaciucchiare un altro. Entra in delirio esistenziale: tradire l’amica? parlarne al marito? Esito: la bella Giovanna se la gode investita della virtù della menzogna, mentre lei, l’io narrante, per uno stralunato qui pro quo, finisce per essere creduta puttana con relativa famiglia allo sfascio. Idea buona forse settant’anni fa, forse prima che sorgesse, chessò, Woody Allen, ora viziosamente fumosa, tirata troppo per le lunghe, pallosa. Ecco: la Morante è troppo presa a convincerci che sa scrivere – rispetta tutte le regole: buono l’incipit, pacatamente audace lo svolgimento, didascalico il finale – rispetto a pensare a quello che ha da scrivere, l’unica cosa che conta. Quarto esempio: Investimenti. Un tizio vuole depositare in banca «il brillio del mare, del quale è entrato in possesso questa mattina all’alba». Soggetto ‘felliniano’ – l’ombra di Federico Fellini, per altro, appare per un istante nel racconto Sorelle – risolto in modo fiacco (il tipo non deposita nulla), poco onirico, pedante, annoiato. Un pensiero sorge sublime nel petto e si fa largo nella trachea forestale: Laura Morante è quasi un Alessandro Baricco. Applausi. Sipario.
Laura Morante, Brividi immorali. Racconti e interludi, La Nave di Teseo 2018, pp.232, euro 17,00
La carota. Ora vi dico quello che volevo scrivere, quello che ho scritto, quello che è giusto scrivere. Volevo scrivere qualcosa del genere. «Il nuovo Cormac McCarthy è una donna, è nata nel 1971 e vive in un paese dimenticato dagli dèi, in Calabria». Molto giornalistico. Parzialmente veritiero. Quello che ho scritto, privatamente, a un amico, è questo: «Il libro è notevole. Mi piace che vada tra i sassi con la Bibbia nella tasca, che sia scandito da placche brevi e da parole forti. Come vetro che, levigato, diventa cuoio». Il libro s’intitola Il cielo comincia dal basso, l’autrice si chiama Sonia Serazzi e, per capirci, è molto più brava di una Elena Ferrante qualsiasi. La storia è quella, militare e microscopica, di Rosa Sirace, che «Ho deciso da un poco di appuntare sull’agenda la vita che faccio. E mi piace riempire fogli con sopra il numero del giorno: non ho tutto lo spazio e tutto il tempo, quindi è giusta una carta che contando me lo ricorda». Rosa ha un po’ gli occhi di una Amélie, un po’ gli sguardi, di glaciale lucidità, di una tigre in estinzione. Il libro è la cronaca di una vita infantile, negli inferi della provincia, scandito – scelta strutturale perfetta – per epigrafi, di lirica bellezza: «A Natale incartai al mio amico una palla di vetro con dentro una bimba grassoccia e mora che, ad agitarla un poco, gettava intorno a sé minuscole scintille d’argento. Ero io la bimbetta nella palla di vetro, e il professore delle stelle mi poggiò sul suo comodino: non aveva più voglia di rifugiarsi in soffitta per fendere il buio col telescopio, quindi si coricava su un fianco e le mie stelline imbottigliate lo consolavano». Spesso i passaggi narrativi troncano il fiato, fanno fiorire vertigini («Una notte dopo l’altra, il padre di Domenico si persuase che la morte era masticare il nulla per un poco, tanto un filo di pienezza segreta durava colando in bocca, ed era latte senza fine»), tanto che vien voglia di sottrarre la Serazzi dalla sua magica provincia e precipitarla nella cristalleria di un Premio Strega. Magari. Anzi. Meglio di no. Dalla penuria della solitudine, ecco uno scrittore vero, verace, senza scuole né pudori. Quello che volevo scrivere è che. Il libro di Sonia Serazzi mi ha ricordato Pedro Paramo di Juan Rulfo. Stessa materia genealogica che si fa sasso, stesso valzer tra polvere e ossessione. Ma i giochini del critico letterario, francamente, servono a sfamare il niente. Leggete Sonia, è sufficiente.
Sonia Serazzi, Il cielo comincia dal basso, Rubbettino 2018, pp.164, euro 12,00