È così ovvio che, ormai, i giapponesi si sono abituati. Il declino delle nascite del Paese è un problema di vecchia data, sempre più grave e sempre più discusso. Peggio del Sol Levante fa solo Singapore, ma è una magra consolazione: i cittadini sono ormai consapevoli (lo danno per acquisito) che, nel giro di qualche decina di anni, saranno pochi, vecchi e perlopiù maschi.
Secondo le analisi del ministero degli Interni giapponese, al momento ci sono solo 15,53 milioni di giovani sotto i 15 anni. Meno del 2017, in cui si arrivava a 15,7. Va così dal 1982, quando le nascite si sono fermate e hanno cambiato verso. Qualche eccezione (Tokyo, Okinawa) c’è, ma il quadro è fosco. I giapponesi si stanno estinguendo e, a quanto pare, non esiste alcuna soluzione per impedirlo.
“Il Paese non è motivato”, dicono alcuni. Altri rincarano: “Continuiamo ad avere sempre meno figli, ma crescere un figlio in Giappone è molto duro, si pensi solo ai prestiti studenteschi. Ci vogliono 20 per ripagarli e poi, al termine di tutto, sarò troppo anziana per avere figli”. Del resto “avere figli è un privilegio: ogni giapponese deve dibattersi tra le tasse sul reddito, quelle del comune, le pensioni e i pagamenti delle assicurazioni sanitarie. Se non si lavora, l’unica scelta che questo Paese ti concede è il suicidio”. Frasi familiari?
Intanto il Paese sta invecchiando, la forza lavoro si sta indebolendo, le innovazioni latitano. Il Giappone sembra cristallizzato negli anni ’90: nessuna misura viene presa, nessuna iniziativa presentata. Finirà che scompariranno, ma senza far rumore. In puro stile nipponico.