Il manifesto politico del governo Lega-5Stelle? È scritto nei copioni de La Gabbia

Il desiderio di vendetta contro i poteri economici e finanziari, le invettive contro le larghe intese, gli imprenditori incazzati con il fisco: il programma di Gianluigi Paragone è stato l'incubatore dell'accordo di governo tra Salvini e Di Maio

Immagine da Youtube

Ripensandoci, è scritto nei copioni di una trasmissione televisiva, il manifesto politico e culturale del governo Salvini-Di Maio. Solo che quando l’11 settembre del 2013 il programma andò in onda per la prima volta, su La7, nessuno poteva immaginare che La Gabbia sarebbe stato un incubatore della visione del mondo che, oggi, sta consentendo la stesura del contratto di governo tra il Movimento 5 stelle e la Lega senza più Nord. Il conduttore, Gianluigi Paragone, aveva da poche settimane lasciato la Rai, l’azienda nella quale era entrato in quota Lega, la Lega che ancora l’aveva, la fissazione del Nord. Fece il suo ingresso in studio imbracciando una Fender Stratocaster e suonando Smells like teen spirit dei Nirvana. Esordì dicendo: “Giochicchiano a centro campo con le larghe intese, mentre sono stati bruciati la bellezza di un milione e ottocento mila posti di lavoro”. Applausi, intermezzo musicale, e poi ancora: “Le larghe intese stanno avvantaggiando solo i mercati finanziari. È ora di dire basta alla retorica della crisi”.

Non c’era tutto, ma c’era tutto l’essenziale. Gli incipit evocano, non devono spiegare immediatamente tutto. Ricordate quello di Karl Marx e Friedrich Engels? “Uno spettro si aggira per l’Europa”. Nel manifesto del partito penta-leghista, c’è spazio per le parole del comunismo rimasticato da Diego Fusaro, l’allievo che chiama il maestro Carlo, come Carlo Marx, dopo essersi auto- proclamato discepolo pure di un altro gigante della filosofia europea: Hegel, o, come preferisce dire Fusaro, “lo Hegel”. È una pura invenzione della Gabbia, questo predicatore televisivo che oggi partecipa a tutte le trasmissioni tv, proclamandosi “al di là della destra e della sinistra”; e che, mercoledì, si è congratulato con se stesso, vedendo finalmente matura la pianta che ha seminato: “Ordunque – ha scritto sul suo blog –, i nostri auspici vengono in ultimo attuandosi. Governo nazionale-popolare dal basso, con Lega e 5 Stelle”.

È scritto nei copioni di una trasmissione televisiva, il manifesto politico e culturale del governo Salvini-Di Maio. Solo che quando l’11 settembre del 2013 il programma andò in onda per la prima volta, su La7, nessuno poteva immaginare che La Gabbia sarebbe stato un incubatore della visione del mondo che, oggi, sta consentendo la stesura del contratto di governo

Occorre dimenticare la dinamica della Sacra Bibbia, quella del testo di riferimento, della parola scritta e interpretata, per entrare dentro l’anima di questa nuova e strana creatura politica e culturale che è il grilloleghismo, in cui la parola è spettacolarizzata e mutevole come le passioni, soprattutto tristi. Infatti non c’è un saggio preciso, né una dottrina politica definita, e nemmeno una nitida analisi economica che riferirsi per comprendere la genesi del cinque-leghismo e per poterne immaginare l’evoluzione (come è stato per tutto il Novecento). Per chi fosse in cerca di riferimenti, è in quel circo Barnum di contestatori da prima serata che è stata La Gabbia che potrebbe infine trovarli, passando in rassegna il casting dei critici delle rigidità economiche europee che la trasmissione ha fatto, da Francesca Donato a Emiliano Brancaccio.

Diventando il centro di prima accoglienza di tutte le incazzature degli imprenditori schiacciati dal fisco, Gianluigi Paragone ha preso per mano gli elettori della Lega Nord degli inizi e li ha accompagnati al di là della secessione, nella nuova era del sovranismo. Dopo gli scandali di Belsito, fatti per nutrire il familismo di Umberto Bossi, La Gabbia di Paragone mostrò ai leghisti delle origini che un altro va da via el cùl era possibile. Nel suo programma, gli ospiti stavano in piedi al centro dello studio, circondati da un pubblico incombente, che, quando non era d’accordo, fischiava, urlava, a volte interveniva. I politici non erano benvenuti, ma imputati sulla pubblica piazza, come di fronte a un plotone d’esecuzione. Stare in piedi faceva però assomigliare le invettive – per esempio, quelle di Claudio Borghi (un’altra creatura del programma, poi diventato un alto dirigente della nuova Lega) – a un gesto di sollevazione. Come se, declamando la propria requisitoria stando ben dritto sulle gambe, si mostrasse al pubblico che ci si può alzare in piedi e parlare chiaro, a testa alta, scrollandosi di dosso il peso che il sistema impone su ciascuno di noi per tenerci schiacciati in gabbia, appunto.

Gli elettori della Lega e quelli del Movimento 5 stelle sono diventati sovrapponibili per parole d’ordine, slogan, intemperanze, desideri; e il conduttore di questo laboratorio, Paragone appunto, è potuto passare facilmente dall’incarico in Rai con la Lega al seggio in parlamento con il Movimento

Al ministero dell’economia Paolo Barnard non siederà mai. Eppure, la sua interpretazione della crisi economica come un “grande crimine” è passata da quello studio televisivo, costruendo un desiderio di vendetta contro i poteri economici e finanziari trasversale all’elettorato della Lega e a quello dei 5 stelle, costituendo la primordiale prova d’intesa sentimentale tra i due partiti, o, almeno, tra i suoi elettorati. E lo stesso terreno ha arato anche Alberto Bagnai, oggi senatore della Lega e allora il più efficace contestatore dell’Unione Europea, in onda (quasi) ogni mercoledì sera. Il suo Tramonto dell’Euro è un libro che ha formato il lettorato neo-leghista e quello dei Cinque stelle allo stesso modo, come i sessantottini di tutto il mondo si sono costruiti leggendo L’uomo a una dimensione di Marcuse. Ed è in questa scomposizione della divisione tra destra e sinistra, e nella successiva ricomposizione dellelettorato lungo la frontiera del basso contro l’alto della società, che sta l’operazione culturale e politica più efficace della trasmissione. Al punto che gli elettori della Lega e quelli del Movimento 5 stelle sono diventati sovrapponibili per parole d’ordine, slogan, intemperanze, desideri; e il conduttore di questo laboratorio, Paragone appunto, è potuto passare facilmente dall’incarico in Rai con la Lega al seggio in parlamento con il Movimento, portandosi dietro i suoi cavalli di battaglia, oggi pronti a diventare clausole di un contratto di governo: la sicurezza, l’anti immigrazione, il diritto alla legittima difesa, l’avversione per le tasse.

Come abbia fatto, una trasmissione del 5 per cento, a formare un elettorato che sfiora il 50 per cento, solo il Novecento può spiegarlo, con le sue formidabili leggi ferree dell’oligarchia (sono sempre delle piccole minoranze organizzate che guidano le grandi masse). Era la teoria che anche Antonio Gramsci esponeva nei Quaderni dal carcere, raccolta di scritti a cui chiunque voglia comprendere le ragioni del partito comunista italiano dovrebbe consultare. Allo stesso modo, forse, domani, chi vorrà capire la ratio del governo 5 stelle-Lega, è ai Discorsi dalla Gabbia che dovrà fare riferimento.

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