Su Giuseppe Conte il giudizio è sospeso. Il Colle – recitano laconiche fonti quirinalizie – sta vagliando il suo profilo. Mattarella si prende il suo tempo, uno o due giorni per decidere se conferire o no l’incarico alla figura espressa per palazzo Chigi da Lega e Cinque Stelle. Nome che – malgrado il bombardamento politico mediatico sul presunto incidente di curriculum e l’impoliticità di Conte – resta confermato anche per la Lega: “Per noi Conte continua a essere il nome indicato al Quirinale”. Leghisti che rilanciano anche sul nome di Savona al ministero dell’Economia, con buona pace per gli allarmi sugli eccessi anti-euro del professore.
Insomma il fronte Lega-Cinquestelle per ora regge, senza scomporsi sotto l’onda d’urto del fuoco mediatico politico ostile di queste ore. Questo ciò che appare sulla scena. Anche se c’è chi fa capire, in ambienti molto vicini al vertice della Lega, che la vera carta della maggioranza, da calare a tempo opportuno, sarebbe lo schema Di Maio a palazzo Chigi e un leghista di peso come Giorgetti al Tesoro. Ipotesi smentita dalle dichiarazioni ufficiali: non c’è all’ordine del giorno nessuna subordinata o piano B. E del resto ogni ipotesi diversa – come la riemersione dell’idea di Di Maio a palazzo Chigi per soddisfare l’esigenza di Mattarella di avere un profilo più politico come premier – rimetterebbe in discussione l’intero e delicato equilibrio del patto di governo, frutto di causidismi estenuanti e notti insonni a riscrivere “il contratto”.
Di fronte a tanta confusione crescono la perplessità e lo scetticismo di Mattarella. Il presidente è convinto che il nome di Giuseppe Conte – al di là del suo curriculum accademico – risponda a un profilo eccessivamente impolitico. Il giurista espresso da Di Maio e Salvini per Palazzo Chigi finirebbe insomma con l’essere, secondo i timori del Quirinale, il mero esecutore notarile di un contratto di governo già stabilito dai suoi maggiorenti. Ma il tempo che si prende Mattarella non è destinato a riempirsi solo della riflessione sulla congruità di Conte alla presidenza del Consiglio, è riservato anche all’attenta valutazione della compagine ministeriale.L’Europa è in pressing, lo spread sale, i mercati sono nervosi: non mancano al Colle motivi e argomenti per far valere le prerogative presidenziali per un tutoraggio di garanzia sulla composizione di alcuni ministeri chiave. Un bilanciamento che per leghisti e Cinquestelle assomiglierebbe molto a un commissariamento.
Certo se l’intesa pentaleghista dovesse saltare la ricaduta su Salvini e Di Maio sarebbe problematica, quasi nessuno però nota che questo scenario costituirebbe un grosso problema soprattutto per il Quirinale
Il tempo sospeso generato dal Quirinale si traduce di fatto in una guerra di nervi con Lega e Cinque Stelle. I quali temono appunto un commissariamento istituzionale dell’incerto governo nascente. Timore non infondato considerando che l’appello al voto è una cartuccia bagnata. Si è ormai chiusa sia la finestra del voto estivo – ipotesi improbabile quanto si vuole ma efficace arma di pressione usata fino a ieri da Salvini e di Maio contro ogni ipotesi di governo del presidente – sia quella del voto autunnale, visto che per rendere possibile la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia sull’aumento dell’Iva ogni ipotesi di elezioni slitterebbe oltre ottobre. E questi sono punti a favore del Quirinale. Nondimeno la partita di Mattarella è molto delicata: aprire le maglie della maggioranza per ottenere il maggior numero di figure di garanzia che tranquillizzino insieme mercati, Europa e quadro internazionale è un gioco sottile. Perché la ragnatela su cui si svolge è altrettanto sottile e fragile.
Certo, se l’intesa pentaleghista dovesse saltare, la ricaduta su Salvini e Di Maio sarebbe problematica: quasi nessuno però nota che questo scenario costituirebbe un grosso problema soprattutto per il Quirinale. Perché se il tavolo salta il presidente “sarà costretto” a formare un governo di transizione per consentire il ritorno alle urne e rappresentare l’Italia al vertice europeo. Ma come, si dirà, non è sempre stata questa l’opzione preferenziale del presidente: un governo di tregua, un esecutivo neutrale con un premier tecnico, preferibilmente donna (si erano già fatti i nomi della diplomatica Elisabetta Belloni e della vicepresidente della Consulta Marta Cartabia) e una rosa ristretta di ministri, anche essi tecnici? Fallita l’intesa tra Lega e movimento 5 stelle il capo dello Stato, percorrerebbe la via già tracciata e finalmente percorribile. La stessa invocata dai partiti che sono fuori dall’alleanza di governo – da Forza Italia al Pd passando per gli ondivaghi Fratelli d’Italia – e che assieme a noti editorialisti hanno fatto trapelare in queste settimane più di una critica sull’ immobilismo notarile di Mattarella.
Ma le cose sono più complesse di così. In realtà il primo a essere seriamente preoccupato per le conseguenze di un governo presidenziale è lo stesso Mattarella. Il Quirinale sa che una scelta del genere provocherebbe una reazione virulenta nel campo populista: Lega e Cinque Stelle avrebbero come tema conduttore della reazione alla scelta presidenziale l’indebita ingerenza del Colle sulla sovranità popolare. E la prossima campagna elettorale avrebbe come bersaglio privilegiato proprio il Quirinale ancora prima di quei partiti che, sconfitti nelle ultime elezioni, darebbero il proprio sostegno al governo di tregua. Una tregua dopo la quale si dovrebbe prima o poi andare a votare, con esiti facilmente immaginabili tenendo d’occhio i sondaggi che continuano a dare la Lega in aumento esponenziale e a confermare il MoVimento Cinquestelle sulle percentuali ottenute alle politiche.
Ultimo, ma non ultimo elemento: il presidente Mattarella sta entrando nella seconda metà del suo settennato: non è lontano il momento in cui si comincerà a seriamente a ragionare sulla sua successione. La bocciatura dell’offerta di governo portata al Colle da Lega e Cinque Stelle o il suo collasso indotto da una protrazione forzata della guerra di nervi di queste ore produrrebbe nell’attuale maggioranza un risentimento profondo. Che potrebbe tradursi nel lavoro per una successione al Quirinale sgradita all’attuale presidente della Repubblica. Il gioco è sottile e la via è stretta, ma a ben guardare, conviene a tutti attraversarla. E stare al gioco.