Perché la felicità è un lampo (e se ci annoiamo il tempo non passa mai)

"Come vola il tempo" lo diciamo tutti: eppure siamo più produttivi quando abbiamo da fare, rispetto ai momenti di relax. Ripensando a vecchie storie d'amore, ci sembra che siano durate più a lungo. Come mai? Un estratto del nuovo libro di Alan Budrick “Perché il tempo vola”

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Alan Burdick è un giornalista scientifico che scrive per il New Yorker. Recentemente è stato pubblicato il suo ultimo libro, Perché il tempo vola, in Italia edito da Il Saggiatore. Burdick ci propone un’originale riflessione attorno alla dimensione che forse più di tutte influisce sulla nostra vita affettiva e lavorativa, ossia quella temporale. Un percorso che attraversa la fisica, la filosofia e la letteratura.

Come ogni anno, anche questo sta volando via. È ancora luglio, o aprile, o addirittura non ancora febbraio, ma la mente sta già viaggiando in avanti per pensare a settembre, quando la scuola o il lavoro iniziano sul serio, come se le settimane di vacanza estiva nel mezzo fossero già passate; o magari a giugno, con la primavera che è passata in un attimo. Da lì è un piccolo salto mentale per arrivare al prossimo gennaio, da dove, con dei calcoli veloci, potete contare tutti i precedenti gennaio nei quali avete riflettuto sull’anno che è appena finito in un lampo – cinque, dieci, così tanti che avete perso i dettagli e ora li ammassate in qualche categoria più ampia: «i miei vent’anni», «gli anni in cui abitavo a New York», «prima che nascessero i bambini». Allora vi sembra che anche la vostra giovinezza sia volata – o se non è già volata via, potete facilmente immaginarvi un punto nel tempo futuro quando sentirete che è volata via molto tempo fa.

Come vola il tempo: lo diciamo tutti e lo abbiamo detto per secoli. Il poeta latino Virgilio scrisse «Fugit irreparabile tempus»: fugge irreparabilmente il tempo. «Il tempo vola e non si ferma per nessuno» scrisse Chaucer nel tardo xiv secolo, nei Racconti di Canterbury. Da diversi commentatori americani del xviii e xix secolo si sente che «il tempo vola in fretta su ali ansiose», «il tempo vola via con ali rapide», «il tempo vola, ahimè, perché ha ali di aquila» e «il tempo vola, l’eternità chiama». Il tempo e la marea non hanno mai aspettato nessuno, fin da prima che nascesse il linguaggio. Poco dopo che io Susan ci sposammo, mio suocero iniziò a dire, con uno schiocco di dita e un tono dolceamaro: «I primi vent’anni vanno via così!». Una dozzina di anni dopo, penso di capire cosa intendesse. Un giorno Joshua esclamò, con un grande sospiro: «Ricordi i bei tempi andati?» e non aveva ancora cinque anni. (Per lui i bei tempi andati includevano un cupcake al cioccolato che si ricordava aver mangiato pochi mesi prima.) Ultimamente sono sorpreso da quanto spesso sono colpito da questa effimerità. È come se ci fosse stato un tempo non molto lontano, in cui solo di rado pensavo: «Come vola il tempo!». Eppure quando ripenso a quel periodo della mia vita e lo confronto con quello attuale, realizzo con terrore che gli anni sono passati veramente, e allora lo ridico. Dov’è finito il tempo?

Naturalmente, non sono solo gli anni che volano via. Anche i giorni, le ore, i minuti e i secondi volano tutti via, ma non necessariamente sulle stesse ali. Il cervello processa un passaggio di tempo che dura da qualche minuto a delle ore in modo diverso da come affronta un intervallo che dura da pochi secondi a un minuto o due. Quando ripensate a quanto è stato lungo il vostro tragitto verso il supermercato o quando vi chiedete se la serie televisiva da un’ora che avete appena guardato è scorsa più lentamente o più velocemente del normale, sollecitate un processo mentale diverso di quello che si attiva quando il semaforo sembra metterci troppo tempo o quando un ricercatore vi chiede di guardare un’immagine su uno schermo e di giudicare per quanti secondi è apparsa. Gli anni sono tutta un’altra questione, della quale parlerò più avanti.

Per essere precisi, il motivo per cui il tempo vola «dipende dal tipo di tempo di cui state parlando» mi disse John Wearden, uno psicologo della Keele University, nello Staffordshire, in Inghilterra. Wearden ha passato gli ultimi trent’anni a cercare di definire e di svelare la relazione tra l’uomo e il tempo; nel 2016 ha pubblicato The Psychology of Time Perception, un’accessibile panoramica storica sull’argomento. L’ho raggiunto al telefono una sera mentre era a casa sua e stava per guardare una partita di calcio. Mi scusai per l’interruzione. «Non c’è nessun problema» rispose. «Il mio tempo non è così prezioso, a essere onesti. Mi piacerebbe far finta di essere terribilmente occupato, ma stavo solo aspettando che la partita iniziasse.»

Wearden mi ha ricordato che non percepiamo il tempo direttamente, come accade con la luce o il suono. Percepiamo la luce per mezzo di speciali cellule nella retina che, quando vengono colpite dai fotoni, innescano dei segnali neurali che rapidamente raggiungono il cervello. Le onde sonore vengono rilevate tramite dei minuscoli peli nell’orecchio; la loro vibrazione si traduce in segnali elettrici che il cervello recepisce come suoni. Ma non abbiamo dei recettori speciali per il tempo. Wearden disse: «Il problema dell’organo del tempo ha tormentato la psicologia per molti anni».

Il tempo ci raggiunge indirettamente, generalmente attraverso ciò che contiene. Nel 1973, lo psicologo J.J. Gibson scrisse che «gli eventi sono percettibili, ma il tempo non lo è», un’affermazione diventata fondamentale per molti studiosi del tempo. Quello che voleva dire, in poche parole, era che il tempo non è una cosa, ma un passaggio attraverso cose – non un nome ma un verbo. Posso descrivere il mio viaggio a Disneyworld – c’è Topolino, ci sono le montagne russe, ci sono le nuvole sotto il finestrino del mio aeroplano – e posso essere cosciente del viaggio mentre lo faccio. Ma non posso avere esperienza o relazionarmi a un «viaggio» privo di luoghi di interesse, attività, o pensieri. Che cos’è «leggere» senza le parole e il vostro progresso lungo le stesse? Il tempo è semplicemente la nostra parola per il movimento degli eventi e delle sensazioni attraverso noi stessi.

Il pensiero di Gibson non è molto lontano da quello di Agostino. «Non disturbarmi; ossia, non disturbarmi col tumulto delle tue impressioni» scrisse Agostino. «L’impressione lasciata in te dalle cose mentre passano e che dura anche quando esse sono passate, quella io misuro come presente, non le cose che, passando, ve la lasciarono: ed è essa che io misuro quando misuro il tempo.» Non percepiamo il «tempo» solo il suo passaggio.

Riconoscere e marcare il passaggio del tempo significa riconoscere il cambiamento – in ciò che vi circonda, nella vostra situazione, o addirittura, come notava William James, nel paesaggio interiore dei vostri pensieri. Le cose non sono più come un tempo. Dal senso dell’ora trapela una consapevolezza dell’allora. E fare questo confronto richiede memoria. Il tempo può volare – o non passare mai, o passare in un lampo – solo se avete presente la sua velocità precedente: «Quel film mi è sembrato durare più di altri che ho guardato», oppure: «La cena è passata in un lampo; mi ricordo di aver dato un’occhiata all’orologio due ore fa ma da allora non ci ho più fatto caso». Nella misura in cui il tempo è una cosa, è una traccia dei vostri ricordi di altre cose.

«Tutti hanno vissuto l’esperienza di essere stati rapiti da un libro» disse Wearden «e poi, guardando l’orologio, dire: “Sono già le dieci?”. Una volta pensavo che si potesse misurare il senso del tempo durante un intervallo di tempo. Ma, naturalmente, non è possibile, perché non l’hai sentito; è pura deduzione. È questo che complica tutto. Parliamo della sensazione del tempo che passa, ma spesso questi giudizi temporali sono basati su deduzioni, non sull’esperienza diretta».

Infatti spesso quando osserviamo: «Come ha fatto il tempo a volare via così in fretta?», quello che in realtà vogliamo dire è un qualcosa tipo: «Non mi ricordo dove sia andato il tempo» oppure «Ho perso traccia del tempo». Provo più spesso questa esperienza quando guido per molto tempo su una strada conosciuta, specialmente di notte. Ho i miei pensieri, posso cantare insieme alla radio, ma sono anche un guidatore attento: guardo la strada, noto i segnali chilometrici che appaiono uno a uno davanti ai miei fari e poi si perdono nello specchietto retrovisore. Tuttavia, quando poi raggiungo la mia uscita, mi sorprendo di averla raggiunta e non sono in grado di ricordare tutte le curve che mi hanno portato qui. È preoccupante: non stavo prestando attenzione per nulla? Evidentemente devo averlo fatto, o ora potrei non essere vivo. Quindi come sono arrivato qui? Dov’è finito il tempo?

Del resto, quando diciamo: «Ho perso la cognizione del tempo», quello che generalmente stiamo dicendo è che non stavamo tenendo traccia del tempo fin dal principio. Wearden ha condotto un esperimento che lo conferma. Ha sottoposto un questionario a duecento studenti universitari chiedendogli di descrivere un’occasione in cui il tempo sembrava essere passato più velocemente o più lentamente del normale. Gli ha anche chiesto di descrivere in dettaglio cosa stavano facendo in quel momento; di ricordare se avessero o meno notato in quel momento che il tempo stava passando più velocemente o più lentamente; e di segnalare se, eventualmente, erano sotto l’effetto di qualche droga. Gli studenti hanno risposto con affermazioni tipo:

Il tempo vola quando sto bevendo con gli amici o mi sono fatto di coca. Ballo, parlo. E in un attimo sono le tre del mattino.

Il consumo di alcol sembra accelerare il tempo – probabilmente perché allo stesso tempo sto socializzando e quindi mi sto divertendo.

Warden scoprì che, in generale, tra gli studenti l’esperienza del tempo che passa più veloce del normale era più comune dell’esperienza del tempo che passa lentamente. La probabilità di avere distorsioni di entrambi i tipi era due terzi più alta se il soggetto era in qualche modo alterato; alcol e cocaina sembravano contribuire al volar via del tempo, mentre marijuana ed ecstasy sembravano causare in egual modo l’accelerazione o il rallentamento del tempo. Il tempo accelerava sempre quando i soggetti erano impegnati, contenti, concentrati o stavano socializzando (l’alcol era spesso coinvolto) e rallentava al lavoro o quando i soggetti erano annoiati, stanchi o tristi. Curiosamente, molti dissero che non avevano percepito il tempo che volava via finché non erano entrati in contatto con un’indicazione temporale esterna – l’alba, un’occhiata all’orologio, l’ultima chiamata del barista. Prima di quella, spesso non avevano alcuna cognizione del tempo. Come ha commentato un soggetto: «Solitamente mi rendo conto dell’ora solo quando il bar dove mi trovo inizia a chiudere o quando qualcuno vicino a me mi informa su che ore sono».

La ragione per cui il tempo vola, almeno nella scala dai minuti alle ore, è così semplice che è quasi circolare: vola perché non state guardando l’orologio con regolarità. Solo più tardi notate che, per esempio, sono passate 2 ore dall’ultima volta che avete pensato a che ore fossero; siete consci che 2 ore sono un tempo abbastanza lungo, ma dato che non avete registrato o ricordato ogni minuto, desumete che il tempo è passato velocemente dal grande numero di eventi che lo hanno accompagnato. Così come ha scritto uno dei soggetti di Wearden: «Dopo aver assunto cocaina con due amici ed essere stati a casa dopo una serata fuori che è finita intorno alle tre del mattino, mi è sembrato che tutto d’un tratto fossero arrivate le sette, quindi il tempo è passato più velocemente di quanto pensassi».

Non è diverso da quanto proviamo quando ci svegliamo la mattina o, anche, quando sogniamo a occhi aperti. «Delle idee casuali riempiono l’intero campo della nostra coscienza» scrisse Paul Fraisse in Psychologie du temps «e quando un orologio suona in lontananza ci stupiamo che sia così tardi nella notte o nella mattina. Non siamo stati coscienti di una durata.» Fraisse aggiunse che questo spiega anche perché molte persone ritengono che i lavori monotoni passino in realtà più in fretta: quando siete annoiati state pensando al tempo, magari state anche guardando l’orologio, ma quando state sognando a occhi aperti non lo fate. Uno studio del 1952 di Morris Viteles, uno psicologo del lavoro alla University of Pennsylvania, scoprì che solo il 25 per cento dei lavoratori impegnati in mansioni apparentemente monotone le percepiva come tali. (Tra i suoi numerosi successi, Viteles sviluppò il Viteles Motorman Selection Test, per aiutare la Milwaukee Electric Railway ad assumere i migliori guidatori di tram; scrisse The Science of Work e Motivation and Morale in Industry, e tenne una conferenza intitolata Machines and Monotony.)

Wearden ha anche notato che un periodo di tempo vola più o meno via a seconda di quando si pensa a esso – retrospettivamente o mentre lo si vive. Il tempo avanza lentamente sia al tempo passato che al tempo presente; un ingorgo stradale o una cena potrebbero durare un’eternità mentre vi trovate al loro interno, e probabilmente più tardi li ricorderete così. Ma Wearden afferma che raramente il tempo sembra volar via nel momento. Teoricamente è così per definizione: il tempo vola perché in quel momento non lo state registrando. Qual è stato l’ultimo film del quale avete pensato «Wow, questo film vola via davvero!» mentre lo stavate guardando? O vi state annoiando e guardate l’orologio o siete immersi nel film e inconsapevoli del tempo. Durante le riunioni e le conferenze, a Wearden piace chiedere ai colleghi psicologi se hanno percepito che il tempo passasse più velocemente o se conoscono qualcuno per cui è stato così. La risposta è sempre negativa.

«L’opinione diffusa tra gli psicologi, dopo qualche birra, è che l’esperienza del tempo veloce è così rara da essere non esistente» disse Wearden. «Non puoi accelerare il tempo mentre ti trovi ancora in esso.» Il tempo non vola mentre vi state divertendo: si pensa che sia volato solo una volta che il divertimento è passato.

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