«Basta litigi, il primo a dirlo sono io». A parlare è Matteo Renzi, nello studio di Giovanni Floris. L’ultima volta che andò in televisione, da Fazio a Che tempo che fa, provocò uno tsunami. Sono ore decisive per il futuro del Partito Democratico. La situazione politica sta precipitando, lo scenario più probabile sono le elezioni a breve termine e gli equilibri, in vista della decisiva Assemblea convocata per il prossimo 19 maggio, stanno cambiando velocemente. All’orizzonte va formandosi un ticket composto da Maurizio Martina, che potrebbe essere riconfermato alla guida del Pd, e Paolo Gentiloni, nelle vesti di candidato premier, non solo di bandiera, ma con l’obiettivo di far convergere sul suo nome una coalizione di centrosinistra il più allargata possibile.
Già questo quadro sarebbe sufficiente per far capire la “rivoluzione copernicana” in corso in casa dem. Martina fino a pochi giorni fa sembrava sull’orlo del licenziamento, la formazione del governo Gentiloni (che ha evitato il ricorso alle urne subito dopo il referendum del dicembre 2016) veniva considerata una delle cause della disfatta elettorale, la coalizione di centrosinistra non era mai stata al centro dell’interesse della passata gestione. Non è un caso che il nome di Gentiloni nelle vesti di candidato premier sia stato ufficializzato in tv, praticamente in contemporanea, dallo stesso Matteo Renzi e da Maria Elena Boschi, che è tornata in tv dopo due mesi di latitanza, intervenendo a Porta a Porta.
Il Pd, un partito letteralmente in rivolta (in alcuni casi silenziosa, in altri meno) contro chi, Renzi appunto, è ritenuto il responsabile principale dell’imminente ritorno alle urne
Un ritorno in grande stile per l’ex segretario e il volto più noto e controverso del Giglio Magico, fortemente voluto per dare un messaggio a tutto il partito. Un partito letteralmente in rivolta (in alcuni casi silenziosa, in altri meno) contro chi, Renzi appunto, è ritenuto il responsabile principale dell’imminente ritorno alle urne. Con tutto ciò che ne consegue per il Pd e per il suoi eletti. L’ha ribadito, oggi, chiaramente, proprio Maurizio Martina. “L’apertura al Movimento Cinque Stelle era stata decisa come delegazione e come partito, il passo avanti era assolutamente condiviso. Poi Renzi ha manifestato la sua opinione. Personalmente ho sempre pensato che quel confronto andasse aperto per sfidare M5S sul terreno del cambiamento, è andata diversamente”. Parole in netto contrasto con quelle dell’ex leader e soprattutto dell’ex madrina delle riforme costituzionali, secondo cui “Renzi ha avuto il coraggio di dire ciò che la maggior parte pensava”.
«Renzi e Boschi – racconta un parlamentare dem vicino all’ala governista del Pd – sono andati in tv per dire a tutti che loro sono ancora al timone. Stanno provando a mettere il cappello sulla candidatura di Gentiloni, ma l’obiettivo vero è la composizione delle liste. Questo armistizio non potrà durare molto». Già, perché se i due ex maggiorenti del Pd sono disposti a togliere il veto su Martina per venire incontro alla gestione collegiale del partito, non si può dire lo stesso sulle liste, da ricomporre velocemente in caso di ritorno al voto.
Le parole di Maria Elena Boschi, secondo la quale “se si vota a luglio la cosa migliore è ripresentare le stesse liste di marzo” hanno già mandato su tutte le furie sia le minoranze sia le donne rivoltatesi dopo l’esclusione in massa dal Parlamento
Le parole di Maria Elena Boschi, secondo la quale «se si vota a luglio la cosa migliore è ripresentare le stesse liste di marzo» hanno già mandato su tutte le furie sia le minoranze – che si sono sentite, a ragione, decisamente penalizzate la volta scorsa – sia le donne rivoltatesi dopo l’esclusione in massa dal Parlamento. Esclusione dovuta in particolare alla candidatura multipla (in ben sei collegi plurinominali), nel ruolo di capolista, della stessa Boschi che, eletta nel collegio uninominale di Bolzano, ha fatto scattare l’elezione di altrettanti uomini inseriti in lista sulla base dell’alternanza di genere.
Dalla partita sulle liste dipenderà anche quella sulla segreteria. La compattezza del fronte renziano, però, si sta sbriciolando. Matteo Richetti, emiliano, renziano della prima ora e molto vicino a Graziano Delrio, ha molto criticato il fatto che la Boschi non abbia fatto un passo indietro dopo il referendum. Anzi, al contrario, che abbia imposto la sua presenza nel ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo Gentiloni e si sia fatta blindare nel collegio ultra-sicuro di Bolzano. Un atteggiamento che ora molti, anche tra le fila renziane, ritengono sia stato dannoso in campagna elettorale e possa essere ancora più deleterio in caso di replica. In queste condizioni, è molto difficile che Renzi riesca a garantirsi, per la seconda volta in pochi mesi, una maggioranza bulgara tra i futuri eletti del Pd.