Lo schema dello scontro finale tra chi vuole l’Europa o l’Euro e chi non li vuole più, è sbagliato. Persino pericoloso. Perché ha portato per anni alla paralisi e porterebbe, oggi, alla sconfitta clamorosa di chi – come chi scrive – ha sempre sostenuto l’esperimento europeo.
L’Europa, invece, si salva solo se si rifonda. Se troveremo – come generazione, senza più la protezione dei dinosauri che ne hanno gestito il declino e ci hanno portato in questo vicolo cieco – le idee e la forza per cambiarne drasticamente le caratteristiche. Non solo i trattati e il budget. Ma la natura stessa di una costruzione pensata per un secolo che è finito da diciotto anni.
È questo, forse, l’elemento di maggiore importanza strategica su cui ci si dovrebbe confrontare. Ed è un errore – ci permettiamo di dire con tantissimo rispetto per le istituzioni – aver portato ad un rango di valore costituzionale, l’adesione ad un sistema che gli stessi francesi e tedeschi a mettere in discussione.
Certo un’uscita dell’Italia dall’Euro decisa in qualche consiglio dei ministri segreto, avrebbe conseguenze devastanti, fosse anche solo per il fatto che togliere alle Banche centrali la possibilità di battere moneta fu un grande conquista di civiltà, in quanto impose un principio di responsabilità sul debito ai Leviatani nazionali.
E, tuttavia, la politica non può essere fatta di dogmi. Un dogma liberale sarebbe una contraddizione logica. E un’agenda politica che volesse difendere ciò che abbiamo, non potrebbe essere quella del rigore assoluto sui conti – spostando con il coraggio che nessun governo ha avuto, risorse da utilizzi non produttivi ad investimenti sul futuro – accompagnato, però, da un grande contributo a un ripensamento di una struttura che sopravvive solo se molto più flessibile.
È un’idea di Macron, forse la più forte, quella di rifondare l’Unione, rafforzando la variabilità delle sue geometrie e il “numero di velocità” con le quali il processo di integrazione si realizza per diversi Paesi. Ed è questo puro buon senso, laddove siamo, oggi, in una situazione nella quale ci sono nazioni alla deriva verso l’autoritarismo e che, tuttavia, non possiamo non tenerci in casa. Con meccanismi di separazione che siano, dall’inizio più chiari, di quell’articolo 50 che l’Europa ed il Regno Unito stanno sperimentando con grande difficoltà.
Ed è un’idea dei tedeschi, dei consiglieri economici degli ultimi Ministri delle Finanze della Germania – Clemens Fuest, Presidente dell’Institute for Economic Research, che ne ha parlato con il Corriere della Sera e Cristoph Schmidt, Chairman del Council of Economic Experts,– che sia necessario introdurre nella stessa unione monetaria clausole che regolino l’eventuale uscita volontaria (potrebbe, un giorno, convenire alla stessa Germania) o forzata (nel caso di ripetute violazioni di accordi che andrebbero, comunque, rivisti).
Un europeismo moderno dovrebbe sottrarre agli euroscettici la bandiera decisiva della democrazia, per chiedere una revisione della Costituzione che consenta ciò che oggi è impensabile: chiedere ai cittadini se aderire o uscire da un accordo internazionale
Non è chiaro come un’eventuale uscita dall’Euro possa essere rese “ordinata” ed è questo uno dei buchi progettuali che una forza politica modernamente europeista dovrebbe riempire. Una strada praticabile potrebbe essere la previsione di un intervento della Banca Centrale Europea che accompagni la separazione riducendo l’esposizione ai mercati del Paese che volesse o dovesse rinunciare al club. Unito alla fissazione di un prezzo – predeterminato – che abbia l’effetto di pagare per il costo dell’operazione, scoraggiarla ma anche limitarne l’impatto riducendone la drammaticità.
Ma c’è di più: un europeismo moderno dovrebbe sottrarre agli euroscettici la bandiera decisiva della democrazia, per chiedere una revisione della Costituzione che consenta ciò che oggi è impensabile: chiedere ai cittadini se aderire o uscire da un accordo internazionale. So che questa affermazione può sembrare ai dogmatici dell’Euro davvero esagerata, ma ricorderei, in maniera sommessa, che sono gli inglesi, quelli che inorridiscono di fronte ad una tale prospettiva, ad aver tenuto, due anni fa, un referendum sulla continuazione della loro adesione alla stessa Unione.
Certo fu una scelta scellerata quella degli inglesi. E ancora più devastante sarebbe per gli italiani uscire dall’Euro (anche se in un referendum sono assolutamente convinto che gli italiani come i greci voterebbero in massa per l’Euro rafforzandone la legittimità). E, tuttavia, se Europa del XXI secolo deve esserci, gli europeisti veri devono essere in grado di correre il rischio che comporta quel fantastico esercizio di apprendimento collettivo che si chiama democrazia.
«Meglio rimanere amici, anche se si decide di non voler far più parte dello stesso club», dicono già i tedeschi. Ed è un errore tragico che siamo noi italiani – Paese fondatore e che per l’Euro ha fatto più sacrifici (sotto forma di avanzi primari nei propri conti pubblici) di chiunque altro – a imporci dei dogmi.
Fu un errore concepire l’Euro come un matrimonio senza clausola di divorzio, perché i matrimoni senza via di uscita hanno la tendenza a trasformarsi in gabbie di violenza. Con il potenziale di scatenare veri conflitti. E continua essere un errore, oggi, dare valore costituzionale alla intangibilità di certi accordi internazionali.
La difesa dell’Europa perché ha garantito settanta anni di pace nel Continente dove esplosero – nella prima metà del secolo scorso – le due più devastanti Guerre della Storia, non può più essere sufficiente. Anche se noi siamo anche la nostra memoria.
Uno schieramento vincente alle prossime elezioni metterà al primo posto l’obiettivo di cambiare drasticamente l’Europa e non solo di difenderla. Con poche idee ma chiare e capaci di entusiasmare e di scomporre e ricomporre gli schieramenti che sembrano pronti per una guerra di posizione alla fine della quale potremmo ritrovarci senza più futuro.