Prendiamo un ipotetico italiano medio, 34 anni, impiegato con uno stipendio da 1.500 euro al mese. La sua azienda ha appena deciso di fargli un contratto a tempo indeterminato. Ora che ha un reddito stabile, finalmente può far diventare realtà un desiderio che nutre da tempo: comprare casa. Certo, farlo richiederà pazienza e mesi di ricerca, ma almeno è sicuro che, nel momento in cui si presenterà in banca per chiedere un mutuo, potrà farlo senza doversi preoccupare di non avere un profilo finanziario abbastanza stabile o di non riuscire a stare dietro al pagamento delle rate.
Questa è la situazione che, oggi, accomuna tanti. Sì, il mercato immobiliare si trova in un momento favorevole, ma sono diversi i cambiamenti sociali, demografici ed economici che hanno mutato nel tempo la composizione della platea di chi acquista casa, e di conseguenza anche quella di chi sottoscrive un finanziamento. Complicando quindi il panorama fondiario.
Andiamo con ordine. In generale, la richiesta di mutui è strettamente legata a tre elementi: la situazione del mercato immobiliare, i tassi di interesse applicati sui mutui (oggi particolarmente bassi) e la situazione economica del momento (cioè i redditi medi). Per quanto riguarda i redditi, non ci sono state grandi variazioni rispetto a 10-15 anni fa: i salari sono mediamente sempre gli stessi, se non addirittura un po’ più bassi, facendo sì che questa “leva” rimanesse sempre più o meno ferma.
Il mercato immobiliare, invece, ha visto un calo progressivo delle quotazioni. Se dieci anni fa la sottoscrizione di un mutuo era più costosa di adesso, poiché i tassi erano arrivati a picchi esagerati, di fatto escludendo una grossa fetta di popolazione, oggi la situazione è migliorata, e anche persone con un reddito medio-basso riescono ad accedere con più facilità ai finanziamenti.
La fotografia attuale quindi vede una situazione più favorevole rispetto al passato, dove nell’ultimo decennio ben due crisi, quella del 2008 e quella “greca” del 2011-2012, avevano invece sempre più messo in difficoltà il mercato, provocando un rialzo dei tassi e portandoli addirittura ad un picco negativo. In questi ultimi anni, però, la (timida) ripresa ha consentito di tornare a una situazione dove anche fasce con redditi più contenuti riescono ad accedere a mutui convenienti. In più, le banche sono più disponibili, hanno liquidità in abbondanza e tutto l’interesse a emettere finanziamenti, e quindi agevolano la ripresa.
In questi ultimi anni, la (timida) ripresa ha consentito di tornare a una situazione dove anche fasce con redditi più contenuti riescono ad accedere a mutui convenienti. In più, le banche sono più disponibili
Ciò detto, «non è tutto rose e fiori», spiega a Linkiesta Roberto Anedda, direttore marketing di Mutuionline, sito di comparazione mutui. Per capire meglio il perché, vale la pena di analizzare come, dall’inizio degli anni Duemila, sia cambiata la fisionomia della richiesta di mutuo e i profili dei richiedenti. «Quindici anni fa la percentuale di mutui erogati per durate medio-lunghe, cioè di 20 o 30 anni, era minoritaria rispetto a quella attuale», specifica Anedda. «Ora il 70% dei mutui erogati è di durata medio-lunga, mentre nel 2003 questa percentuale era al 40-45% e i mutui avevano una durata media di 10-15 anni». Gli importi, poi, erano più bassi: si andava da 70 a 90.000 euro, contro i 120.000 di adesso. Con il crescere del valore degli immobili e con lo stabilizzarsi dei redditi, quindi, ci si è spostati verso durate sempre più lunghe: distribuire il rimborso su un periodo prolungato, infatti, consente di ridurre l’importo della rata mensile, facendola quindi pesare meno sul bilancio familiare.
In più, negli ultimi anni si è registrato un aumento dell’età media dei richiedenti: se negli anni Duemila il 50% dei mutuatari aveva un’età compresa tra i 26 e i 35 anni, più un 30% tra i 35 e i 45 anni, negli ultimi anni queste fasce sono via via andate a pesare meno, soprattutto quella 26-35 anni (che oggi è sotto il 30%), mentre si sono ingrossate le file dei 36-45enni, che ora accendono il 45% dei mutui. «Una parte di questo è l’effetto del grande ricorso alle surroghe», spiega Anedda. «Dato che, nel momento in cui i tassi calano, ho convenienza a sostituire un vecchio mutuo, magari sottoscritto diversi anni prima, con uno più conveniente: questo comporta che io rientri nelle file dei più anziani, nonostante non si tratti del mio primo mutuo».
In generale, però, questi dati rispecchiano la profonda trasformazione che la società sta attraversando e in particolare la debolezza delle fasce più giovani: si impiega sempre più tempo per entrare nel mercato del lavoro e per “uscire di casa”, per trovare un lavoro stabile e redditi sufficienti a essere indipendenti; le famiglie si formano sempre più tardi, i figli nascono meno e più tardi. Per effetto di una serie di dinamiche demografiche, insomma, l’età in cui si affronta per la prima volta l’acquisto di un immobile e quindi la sottoscrizione di un mutuo si sposta più avanti.
Aumenta la durata dei mutui e crescono gli importi. E anche l’età media dei richiedenti si è spostata in avanti: un segnale della debolezza delle fasce più giovani
L’aspetto economico, inoltre, ha un peso non indifferente. In particolare, riporta l’esperto, le fasce di reddito più basse hanno perso peso con l’andare del tempo: mentre negli anni Duemila la fascia tra 1.000 e 1.500 euro rappresentava la relativa maggioranza delle operazioni, con oltre il 40% delle erogazioni di mutui, insieme ad un 22-23% di stipendiati da 1.500-2.000 euro al mese, negli ultimi 15 anni la fascia tra 1.000 e 1.500 euro si è contratta ampiamente sotto il 30%, mentre è aumentato il peso della fascia intermedia, quella tra 1.500 e 2.000 euro, arrivata oggi intorno al 35%, ed è cresciuto un po’ anche il peso di quelle più elevate. In breve, per ottenere un mutuo oggi è necessario avere dei redditi più corposi rispetto a prima.
L’ultima grandezza demografica è quella del profilo lavorativo, e cioè di macro categorie come lavoratori dipendenti, autonomi e professionisti. Da sempre la categoria dei dipendenti ha rappresentato la larga maggioranza dei mutuatari. Ma anche qui con delle differenze: nel 2.000 erano il 75%, mentre i lavoratori autonomi e liberi professionisti rappresentavano un abbondante 20%, seguiti infine da categorie residuali come pensionati e lavoratori atipici, con un paio di punti percentuali a testa. Anche qui, com’è intuibile, il target si è spostato sempre più verso i lavoratori dipendenti, che ormai superano l’80% dei mutui attivati, mentre si è contratta la quota dei lavoratori autonomi e dei liberi professionisti, passati dal 20% a poco più del 10% (rimangono invece costanti le frange dei pensionati e dei lavoratori atipici).
I lavoratori autonomi, insomma, negli anni si sono trovati sempre più in difficoltà nel cercare di trovare una stabilità economica, situazione che ha posto tutta la categoria «sempre più sotto la lente di osservazione delle banche, con maglie più strette nella valutazione del profilo del richiedente», spiega ancora Anedda. Certo, nel tempo sono state attivate misure per cercare di agevolare le fasce più deboli, ma, prosegue l’esperto, «gli stanziamenti sono di qualche decina di milioni di euro al massimo, non sono immediati da comprendere, bisogna chiedere consulenza e trovare le banche che aderiscono a queste iniziative e comunque c’è da armarsi di pazienza per ottenere tutte le informazioni, dovendosi comunque districare nel già di per sé difficile percorso di acquisto di un immobile, dove sono tante le cose da valutare».
Le fasce di reddito più basse hanno perso peso con l’andare del tempo. Sempre meno i lavoratori autonomi che accedono a un mutuo
Detto ciò, vale la pena ribadire che nell’ultimo paio d’anni si è riscontrata un’inversione di tendenza, dove le richieste di mutui sono aumentate, di pari passo con la diminuzione dei prezzi delle case di un buon 30% e il crollo dei tassi ai minimi storici, che hanno reso molto più semplice acquistare casa e ottenere un mutuo. Ma, soprattutto, «si è riaperto questo mercato alle fasce sia di età che di reddito che negli ultimi quindici anni avevano visto ridurre il proprio peso e le proprie possibilità», dice Anedda. «È un inizio di ripresa che per ora è pari a pochi punti percentuali di aumento, che sono un segnale di un mercato più sano e più accessibile, pur con una serie di incertezze economiche collaterali che fanno sì che il ritorno all’acquisto dell’immobile e quindi all’accensione del mutuo abbiano comunque molta strada da fare prima di poter consolidare il recupero di volumi».
Di fatto, però, non c’è molto margine per sintonizzarsi con i cambiamenti sociali e demografici in atto per rendere la ripresa più agevole: «La banca in maniera asettica e distaccata si limita di volta in volta a valutare la posizione lavorativa e reddituale della persona che si presenta a chiedere il mutuo», conclude Anedda. «Chi arriva con un primo contratto, magari a tempo determinato, avrà molte meno probabilità di accedere a un mutuo rispetto a chi magari ha anche avuto più contratti, però continuativi, e riesce a dimostrare di avere un’entrata che prosegue nel tempo e che potrebbe evolvere anche in meglio». Di fatto, non ci sono regole scritte a priori, né prodotti particolari dedicati a queste tipologie di clientela – salvo condizioni agevolate sul tasso per favorire chi ha un reddito più basso, ma comunque non elementi che cambiano completamente la possibilità di accedere al credito. «Servirebbero degli interventi di accesso alla casa che però non possono essere fatti dalle banche», conclude Anedda. Insomma, dovrebbe pensarci lo Stato: «Bisognerebbe valutare la creazione di una serie di iniziative più ampie e profonde di sostegno, anche non necessariamente legate all’acquisto».