«Cagliari è una smart city a tutti gli effetti e può diventare un modello per l’intero territorio nazionale. Ma gli manca una smart land». Aldo Bonomi, sociologo e direttore del Consorzio Aaster, racconta così la fase di standby dalla crisi del capoluogo sardo durante un intenso dibattito tenutosi all’Auditorium comunale di Cagliari in occasione del Grande Viaggio in Italia di Conad. «Una città – spiega il sociologo – che si è ritrovata di colpo nella zona grigia tra il “non più” e il “non ancora”. Dove da una parte nascono e si moltiplicano a ritmi velocissimi centinaia di start up, ma dall’altra le vecchie imprese fanno ancora fatica a rialzarsi dalla crisi».
A ben vedere i dati raccolti dall’analisi, Cagliari risulta essere una città fatta di contrasti, le graduatorie raramente la posizionano in fasce intermedie. O in pole position o fanalino di coda. Non ci sono mezze misure. Con i suoi 270 anziani ogni 100 abitanti, è il comune italiano con il più alto tasso di vecchiaia tra quelli con più di 75 mila abitanti. I residenti sono circa 150 mila, in calo nel 2017, e non fa sorridere nemmeno la percentuale di popolazione straniera al 5,3%, contro l’8,3% della media nazionale. Sono numeri che fanno pensare a un territorio vecchio e poco dinamico, fattore di fragilità per la coesione sociale e per lo sviluppo economico.
«Ma la città – spiega Bonomi – può trovare la propria forza in se stessa: sono i giovani delle start up e della tecnologia d’avanguardia che possono trainare l’isola fuori dalla crisi, innovando senza però lasciare indietro le imprese tradizionali del territorio». D’altronde è qui che sono nate realtà del tutto rivoluzionarie nel panorama italiano come MutuiOnline, Money Farm e Sardex. In quest’occasione però si tratta di iniziative come Open Campus, spazio di co-working dedicato alle tecnologie digitali diretto da Alice Soru. Qui si riuniscono numerose start up tecnologiche e può essere considerato un polo del più ampio ecosistema dell’innovazione cagliaritano, che annovera incubatori di livello (Net Value) collegati a fondi di venture capital, sedi universitarie (Contamination Lab) e di ricerca (Sardegna Ricerche), diverse sedi di società internazionali o nazionali di successo. Ma a Cagliari l’innovazione passa anche per i prodotti tipici locali, come ha voluto Valentina Argiolas, presidente di Cantine Argiolas S.p.a. e principale produttrice autoctona di vino, con un orientamento consolidato alla qualità e alla sostenibilità delle produzioni locali, con rapporti consolidati con le Università e i processi di lavorazione brevettati. E a proposito del monito «fare comunità» più volte ripetuto durante l’incontro, Argiolas sostiene le attività produttive della Comunità La Collina di Serdiana, dedicata alla riabilitazione di giovani che hanno commesso reati gravi in età minorile. Altro centro di innovazione cagliaritano è il Festival letterario Tuttestorie, diretto da Manuela Fiori, considerato ormai l’evento nazionale di riferimento nel settore ragazzi. Il festival, tuttavia, si caratterizza come un percorso che dura l’intero anno attraverso laboratori di lettura co-progettati con le scuole e le biblioteche del territorio, spesso in centri minori periferici.
«Attenzione però all’illusione del modernismo», interviene Silvano Tagliagambe, filosofo ed epistemologo all’Università di Cagliari, riferendosi alle “trappole” in cui si può incorrere durante i processi di innovazione. Ci si riferisce ai rider di start up di successo quali Foodora e Deliveroo, che si son visti negare i propri diritti lavorando con contratti irregolari, spesso con paghe ben al di sotto del minimo garantito. Uno spettro che non deve essere ignorato e che va, al contrario, respinto con norme adatte al sistema di riferimento: il digitale. Il problema è che la tecnologia va molto più veloce dei processi legislativi e risulta più difficile raggiungerla con provvedimenti adeguati. Piuttosto, servirebbero programmi di formazione – quindi maggiori investimenti – per le nuove professioni del futuro in modo da avviare un graduale passaggio dal vecchio modo di fare impresa a quello nuovo. I numeri ci sono, se si considera che con un tasso di giovani laureati al 21,5%, Cagliari raggiunge il quinto posto tra i comuni con oltre 75 mila abitanti; il reddito medio per contribuente è di 25.400 euro, il più alto del Mezzogiorno, superiore di oltre 4 mila euro alla media nazionale. La città è anche settima per quota di contribuenti che hanno dichiarato un reddito superiore a 75 mila euro ed è 25esima per numero depositi bancari, mentre 35.950 è il valore aggiunto per abitante, un indicatore cresciuto del 2 per cento nel 2017. Tutto ciò fa pensare che dopo gli anni di crisi, la ripresa inizia a farsi sentire: la quota di occupati in provincia è salita lo scorso anno dell’11 per cento. Nonostante ciò, la quota di imprese ancora in difficoltà è al 35 per cento, seconda in Italia solo a Catanzaro. Allora come si esce dalla zona grigia che tarpa le ali alle imprese più giovani e lascia “in attesa” quelle tradizionali? «Cagliari – risponde Bonomi – ha tutte le carte in regola per sviluppare appieno le proprie capacità di “smart city” e giocare un ruolo da protagonista a livello nazionale. Ma serve una maggiore coesione all’interno dell’isola. Non possono esistere due poli centrali all’interno di una stessa regione. Per avviare una riforma strutturale del tessuto economico e sociale dell’intero territorio è necessario riconoscere Cagliari come centro trainante di un percorso più ampio volto a fare dell’isola – e successivamente dell’Italia – una “smart land”».