«Abbiamo fatto una brutta figura, sembravamo i romani dei film quando vanno a Milano». È la frase chiave per capire l’ultimo scandalo capitolino, per dargli un contesto e una dimensione. A parlare è il costruttore Luca Parnasi. Racconta al telefono le sue fatiche per conquistare relazioni e appoggi nel mondo nuovo della Lega e del Cinque Stelle, i soldi e le utilità sparsi in giro («Adesso non mi costa molto, una volta non hai idea»). Spiega il fallimento rimediato quando ha provato ad estendere la sua rete al Nord, con l’assessore all’urbanistica di Palazzo Marini Pierfrancesco Maran che liquida l’offerta di una casa dicendo: «Qui non si usa». È a questo proposito che Parnasi commenta «Sembravamo i romani dei film», e probabilmente il film che ha in mente è Colpo gobbo a Milano, dei fratelli Vanzina, con Claudio Amendola e Ricky Memphis in trasferta sotto la Madonnina per la mandrakata che dovrebbe metterli a posto per la vita (e che finirà in disastro).
Chi cerca una chiave per capire l’inchiesta sul nuovo stadio di Roma che ieri si è abbattuta su M5S, Forza Italia e Pd (9 arrestati, 27 indagati), deve appunto immaginarla come una commedia, un cinepanettone. Ci sono tutti gli elementi. Un colossale progetto – valore un miliardo – che deve passare attraverso dozzine di livelli autorizzativi. Un vasto generone politico-tecnico che può mettere i bastoni tra le ruote, rallentare, infastidire, opinare. Un gruppo imprenditoriale strangolato dalle esposizioni bancarie che aspetta in debito d’ossigeno il via libera ai lavori. Il placet di chi potrebbe rallentare, infastidire, opinare, conquistato con larga varietà di soluzioni. Soldi in contanti alla vecchia maniera (è l’accusa per Davide Bordoni, capogruppo FI). Pagamento di fatture false (25mila euro, è l’accusa per Adriano Palozzi, FI). Promesse di consulenze (100mila euro, è l’accusa per Luca Lanzalone, presidente Acea). L’assunzione di un figlio (è l’accusa per Michele Civita, Pd). E poi una modalità del tutto innovativa, il progetto di restyling del lungomare di Ostia offerto al capogruppo M5S in Campidoglio, Paolo Ferrara, che secondo il pm Paolo Ielo se lo piglia e lo presenta come proprio per fare bella figura e avvantaggiarsene politicamente.
E il fatto più sorprendente è che in un arco di tempo brevissimo – appena due anni dall’elezione di Virginia Raggi – il vecchio sistema capitolino abbia avuto ragione anche dei castigamatti del Movimento Cinque Stelle, trasformando pure la loro avventura in un plot da commedia di genere
È lo stesso copione consociativo di tutti gli scandali romani sotto tutte le amministrazioni e tutti i sindaci. E il fatto più sorprendente è che in un arco di tempo brevissimo – appena due anni dall’elezione di Virginia Raggi – il vecchio sistema capitolino abbia avuto ragione anche dei castigamatti del Movimento Cinque Stelle, trasformando pure la loro avventura in un plot da commedia di genere. Ma non solo. Il valore degli emolumenti e dei favori è, ancora una volta, irrisorio rispetto all’impresa. E di nuovo si ha l’impressione che la benevolenza politica a Roma sia un buon affare perché si compra con pochi soldi e con poca fatica.
Ora non si capisce bene come andrà a finire. Per il nuovo stadio, ma soprattutto per il Movimento Cinque Stelle che dimostra tutta la sua fragilità proprio all’epicentro del suo nuovo potere, nella Capitale-vetrina dove non deve spartire le decisioni con nessuno e sceglie in piena autonomia a chi affidarsi, chi promuovere nei ruoli che contano, come portare avanti i progetti. Oltre i destini dell’inchiesta e la solidità della pesantissima accusa di associazione a delinquere, il punto politico riguarda la rivoluzione morale Cinque Stelle che si arena nella foto di gruppo dei «romani dei film», insieme a quella di un gruppo di vecchi politici trafficoni e di un manager spregiudicato. Non è una bella immagine, nè un buon viatico per le ambizioni del Movimento che ha appena conquistato l’Italia proprio in nome della sua diversità.