Così il ”vaffa” di Grillo ha tolto l’Italia a Berlusconi. Per regalarla a Salvini

L'8 settembre 2007, a Bologna, si tenne il primo V-Day. Tra i nemici numero uno i condannati che stavano in Parlamento come Bossi, Maroni e Borghezio. Dieci anni dopo, il vaffa è riuscito a mandare in soffitta il berlusconismo. Nessuno, però, poteva pensare che avrebbe passato lo scettro a Salvini

ANDREAS SOLARO / AFP

Certi vaffanculo non finiscono. Fanno dei giri immensi, e poi ritornano a portare il conto. Quando Beppe Grillo urlò il suo, l’otto settembre del 2007, a Bologna, aveva in mano la lista dei venticinque condannati che sedevano in parlamento. Pronunciava un nome e, un attimo dopo, porgeva l’orecchio ad ascoltare il suono del disprezzo che saliva dalla folla. Secondo l’insultometro della piazza, convocata per essere il meno garbata possibile, i primi da cacciare dal parlamento a pedate dovevano essere, guarda che coincidenza: Mario Borghezio, Umberto Bossi e Roberto Maroni, tutt’e tre onorevoli della Lega Nord.

Che giro, il vaffanculo. È esploso in un paese in cui il centro del sistema era Silvio Berlusconi, dunque il centro-destra (sia quando governava, sia quando, nel 2006, si era radunato tutto il radunabile pur di non farlo governare). È arrivato al governo, grazie al Movimento 5 stelle, in un paese in cui Berlusconi è stato diminuito al ruolo di comparsa. Il vaffa, insomma, è riuscito a realizzare l’obiettivo principale dei movimenti che l’avevano preceduto e di cui è erede: i girotondi di Nanni Moretti e le piazze del popolo viola, le manifestazioni per difendere la costituzione più bella del mondo e i moti d’indignazione per le leggi bavaglio: ossia l’obiettivo di levare lo scettro della politica italiana a Silvio Berlusconi.

Quello che nessuno aveva previsto, e che la piazza di Bologna di certo non si augurava, era il passaggio dello scettro nelle mani di Matteo Salvini, diventato, al momento, e chissà per quanto ancora, il nuovo perno della politica italiana (benché abbia poco più della metà dei parlamentari che hanno i grillini). Lo squilibrio tra il Movimento 5 stelle e la Lega si è manifestato chiaramente nella scelta di fermare i naufraghi della nave Aquarius al largo delle coste italiane, attraverso una minaccia di chiusura dei porti proclamata a social unificati dal ministro dell’interno, Matteo Salvini, sebbene la prerogativa di disporne la chiusura sia del ministro delle infrastrutture, Danilo Toninelli, costretto a ingoiare il fastidio per il semi-commissariamento imposto dell’alleato di governo, senza altra scelta che quella di assecondarlo. Come scriveva Carl Schmitt, il sovrano è colui che decide nello stato d’eccezione. E la decisione, nella situazione eccezionale dell’Aquarius, è stata presa da Matteo Salvini. “È finita la pacchia”. Immigrati, vaffanculo.

Il vaffa di Beppe Grillo coagulò i malumori che avevano attraversato il mondo della sinistra italiana trasformandoli in qualcosa d’altro, e di ancora indefinito. Tuttavia il suo riferimento principale, e il riferimento di quel movimento, era ancora lì, dalle parti della sinistra

E pensare che quando Marco Travaglio era salito sul palco di Bologna, prima del vaffa di chiusura di Beppe Grillo, aveva apprezzato la proposta di Gianfranco Fini di dare agli stranieri il diritto di voto alle elezioni comunali, alla condizione che non avessero commesso reati. Ravvisava un solo problema: “In Italia, come lo spieghi a un extra-comunitario che per poter eleggere un pregiudicato devi essere incensurato?”. Grandi applausi dalla folla. Beppe Grillo stesso raccontò che c’era un inganno nel discorso sulla sicurezza: “Quando pensiamo agli abusivi, pensiamo ai lavavetri, ai posteggiatori e alla puttane. Mentre i veri abusivi sono nel nostro parlamento”. Ovazione della piazza.

Prima gli italiani, aveva uno speciale significato allora: significava colpire, prima di tutto, i vizi degli italiani. In particolare della sua politica, egemonizzata da Silvio Berlusconi, contro il quale era cresciuta nelle piazze un’opposizione che ne contestava il conflitto d’interessi, le leggi ad personam, l’istrionismo nelle relazioni internazionali, l’estetica televisiva, l’immaginario del godimento, la vita privata disinvolta e tutto il resto, ma si scagliava anche contro i dirigenti della sinistra ufficiale, i D’Alema, i Rutelli, i Fassino, che non erano stati abbastanza duri con il Cavaliere, l’avevano lasciato fare, avevano ceduto, soprattutto su un punto che, a loro avviso, avrebbe dovuto essere centrale nella sinistra post idelogica: la questione morale.

Il vaffa di Beppe Grillo coagulò i malumori che avevano attraversato il mondo della sinistra italiana trasformandoli in qualcosa d’altro, e di ancora indefinito. Tuttavia il suo riferimento principale, e il riferimento di quel movimento, era ancora lì, dalle parti della sinistra. Tanto è vero che prima di salire sul palco di Bologna, Grillò portò a Romano Prodi la sua proposta di legge di iniziativa popolare in tre punti (fuori i condannati dal parlamento, istituzione del limite dei due mandati, ripristino delle preferenze). Dopo, annunciò la volontà di candidarsi alle primarie del partito democratico, giustificando la fondazione del Movimento 5 stelle con il diniego che il PD gli oppose. Lo raccontò Michele Santoro, conduttore da sempre militante nel campo dell’anti-berlusconismo di sinistra, dedicando intere puntate di Servizio Pubblico alla novità del Vaffa Day, interpretato come l’ultima chiamata per il rinnovamento della parte al fianco della quale si era candidato, e per la definitiva messa fuori gioco dell’arci nemico, Silvio Berlusconi, e della cultura che aveva creato, il berlusconismo.

L’obiettivo è stato, infine, raggiunto. Ma con quale esito? Far uscire l’Italia dall’anomalia berlusconiana per farla entrare in quella salviniana, passando dal centro destra, alla destra più destra della Lega, sia nella forma di alleato del Movimento 5 stelle, sia in quella, alternativa, di forza egemone della nuova coalizione di destra-centro. Il ragazzo che sventolava la bandiera di Che Guevara sotto il palco del V-Day non l’aveva considerato. “Le barricate in piazza”, cantava Franco Battiato, “le fai per conto della borghesia”. Il vaffa, invece, ha servito la ruspa.