Dalle tavolette ai fornelli: assaggia i piatti dell’antica cucina babilonese

Alcuni ricercatori americani si sono dati da fare: hanno tradotto le antiche ricette e le hanno sperimentate in cucina. I risultati? Diciamo che in quattromila anni i gusti sono un po’ cambiati

Carne stufata, ripiena di altra carne ed erbe. E sangue utilizzato come addensante. Nella città della perdizione dell’antichità, cioè Babilonia, si mangiava pesante. A giudicare dalle ricette conservate sulle tavolette, 4.000 anni fa c’era chi si godeva la vita, con carni buone e ben cucinate, insieme a erbe e verdure saporite. Almeno, è quanto hanno appurato Agnete Lassen, curatrice della Yale Babylonian Collection, e Chelsea Alene Graham, specialista di immagini per l’Institute for the Preservation of Cultural Heritage, che dalle testimonianze scritte sono risalite ai piatti reali, cucinandoli.

L’idea, spiegano, nasce dalla necessità di capire meglio il significato di alcuni termini. Non sarebbe stato inutile, hanno pensato, una messa in pratica sperimentale.

Le ricette, conservate su tre tavolette riprodotte per l’occasione con una stampante 3D, provengono tutte dalla stessa zona e dallo stesso periodo. Forse “non le ha scritte la stessa persona”, come spiegano le studiose, ma di sicuro si trattava di qualcuno bene informato in fatto di cucina.

Ma come sono questi piatti? Dipende. Il migliore sarebbe un certo Tuh’i, una specie di stufato di agnello e barbabietola che, secondo Lassen, potrebbe sembrare un proto-borsch. Mentre lo “stufato srotolato”, pietanza vegetariana dalle varie composizioni, non ha convinto tutti. Meno buono ancora è il brodo di agnello: sgradevole alla vista e anche al palato. Forse è anche colpa del sangue animale, impiegato come addensante.

Buono o non buono, si tratta comunque di un pasto da re, in senso letterale. Gli ingredienti impiegati non sono semplici da reperire, la preparazione è laboriosa. Il tutto lascia immaginare che si trattasse di una cucina speciale per persone importanti, forse anche per occasioni particolari. Chi fosse curioso di assaggiarli dovrà aspettare. Almeno fino a quando da Yale non venga pubblicata una traduzione delle ricette (a meno che si sappia già leggere il cuneiforme).