Luigi Di Maio e Matteo Salvini sono due ragazzi fortunati: mentre nasceva, dopo ottantotto giorni di doloroso travaglio, il governo pentaleghista di Giuseppe Conte, il presidente della Commissione europea Juncker diceva che «Gli italiani devono lavorare di più, essere meno corrotti e smettere di attaccare l’Ue».
Un assist perfetto per lo scatto d’orgoglio sovranista di cui puntuale s’incarica e volentieri il leader leghista Matteo Salvini neo ministro dell’Interno: «Parole vergognose e razziste. Col prossimo governo vedremo di fare rispettare i diritti e la dignità di 60 milioni di italiani che dall’Europa si aspettano collaborazione, non insulti». Un rumore polemico che riesce a mettere in secondo piano il dato vero: ossia che la sostituzione di un euro-antagonista di peso come Paolo Savona al Tesoro con un professore euroscettico (ma nemmeno troppo) come Giovanni Tria è stata la mossa del cavallo di Sergio Mattarella per depotenziare la carica antieuropea del nascente governo Conte.
C’è poco da fare: Mattarella l’ha avuta vinta. Normalizzazione avvenuta dunque? Andiamoci piano, perché poi Di Maio e Salvini son sempre i leader di due forze popolari che hanno nel corpo il movimentismo e sono i capi di un governo che ha sì un profilo leggero (premier e uno stuolo di ministri tecnici) ma un mandato pesante
C’è poco da fare: Mattarella l’ha avuta vinta. Il Quirinale è riuscito da un lato a fornire all’Europa le garanzie richieste dall’altro a guardare alla festa repubblicana del prossimo due giugno senza l’incubo delle piazze agitate dall’impeachment e dalla guerra istituzionale senza quartiere che pure era a un passo dall’essere innescata dopo il caso Savona. Il grande fluidificatore di questa operazione è stato naturalmente Carlo Cottarelli, un mister Wolf con lo zaino operativo, che Mattarella ha sapientemente messo in campo per porre Lega e Cinque stelle di fronte all’ultima chance di formare un governo politico. Chance che i due hanno preferito cogliere capendo che in Italia anche la rivoluzione permanente ad agosto va in ferie. Il governo Conte bis – nel senso di “buona la seconda”, regia Sergio Mattarella – è insomma un governo più light rispetto alla versione originale, prima della correzione venuta dal Colle.
Normalizzazione avvenuta dunque? Andiamoci piano, perché poi Di Maio e Salvini son sempre i leader di due forze popolari che hanno nel corpo il movimentismo e sono i capi di un governo che ha sì un profilo leggero (premier e uno stuolo di ministri tecnici) ma un mandato pesante: quello di segnare una rottura e un cambiamento rispetto al passato. Vedremo se sarà così; di sicuro le sobrie sortite alla Juncker o gli anatemi preventivi da gendarmeria repubblicana serviranno solo a rafforzarlo. E a non capire perché i due maggiori azionisti del neonato governo gialloverde hanno insieme più del 50% dei voti. Mattarella ci ha messo una pezza, ma il populismo non lo fermeranno lo spread, le vecchie zie di Longanesi o le professoresse che leggono Repubblica, signora mia.