Pagati poco più di 20 euro netti a intervista, con contratti a progetto cocopro rinnovati ogni anno da 15 anni e più. I rilevatori dell’Istat, quelli che ogni mese permettono di calcolare la disoccupazione in Italia, sono loro stessi vittime del mercato del lavoro che contribuiscono ad analizzare. Un esercito di 300 intervistatori, divisi per territorio, che macinano centinaia di chilometri in macchina e bussano alle porte degli italiani, chiedendo loro occupazione e tipologia contrattuale. Una volta raccolte le voci, queste vengono inviate a un cervellone centrale, che elabora dati e percentuali. Quelle che poi finiscono nei titoli di giornali e tg.
Dal 2002 al 2009, i rilevatori dell’Indagine continua sulle forze lavoro (Fol) hanno sempre fatto capo all’Istat, che li ha selezionati e formati per effettuare questa ricerca replicata allo stesso modo in tutta Europa. Dal 2009 in poi, Istat ha deciso di esternalizzare il servizio affidandolo in appalto. E da allora a vincere la gara è sempre la stessa società: la francese Ipsos, che dal 2016, con un’offerta al ribasso di 22,4 milioni di euro, realizza anche l’indagine sulla spesa delle famiglie italiane. I 300 rilevatori ex Istat sono passati quindi sotto il cappello di Ipsos. E i vecchi contratti cococo, già più volte rinnovati con apposite deroghe inserite ad hoc nei decreti mille proroghe, dal 2009 sono diventati contratti a progetto prorogati annualmente (ma nell’ultimo contratto è scritto che non sono ammesse ulteriori proroghe oltre il 31 ottobre 2018), con un pagamento “a cottimo” per ogni intervista effettuata.
Per l’indagine sul lavoro, un rilevatore guadagna 21 euro lordi a intervista conclusa. Per quella sulla spesa delle famiglie il pagamento è di 28 euro: in questa cifra sono comprese due visite, un contatto intermedio e l’inserimento dei dati nel diario. In entrambi i casi, vengono aggiunte 18 euro lorde di indennità. Che fanno un totale di 39 euro per l’indagine Fol e 46 per quella sulle spese.
Le famiglie del campione ormai vengono trattate come le pizze! Prima, quando una famiglia tentennava ad accettare l’intervista, si facevano comunque altri tentativi. Ora ci dicono di passare subito alla seconda o terza scelta. Ci chiamano e ci dicono: “Quante famiglie hai fatto?”
«A seconda del territorio e del campione che viene assegnato, si arriva a 1.200-1.500 euro al mese», racconta uno dei rilevatori. «Ma in questa cifra sono comprese tutte le spese di spostamento, tra benzina, treni e mezzi pubblici. Senza contare che se ti ammali o vai in ferie, non fai interviste e non guadagni nulla. Inoltre, i 18 euro di indennità non sono tassati e quindi i contributi che versiamo sono bassissimi». Ma la difficoltà, raccontano, «non è tanto fare l’intervista: è il lavoro di preparazione quello che conta. Devi contattare la persona nel campione, fissare un appuntamento e farti ricevere. Altrimenti intervisteremmo solo le casalinghe. Non sempre la persona accetta al primo tentativo». Il pagamento, però, avviene solo a intervista conclusa. E per l’indagine sulle spese, non è previsto alcun rimborso se la famiglia decide di non voler continuare nella rilevazione dopo la prima visita.
«A volte aspetto anche quattro ore in macchina perché non mi conviene fare su e giù», racconta un rilevatore. «Capita anche che qualcuno chiami i carabinieri». E il campione può contenere chiunque. «Ci sono le famiglie straniere, anche solo con permesso di soggiorno temporaneo, dalle quali spesso torniamo anche due o tre volte. Grazie al lavoro dei rilevatori, si riescono ad avere informazioni che non si potrebbero avere in altre maniera», dicono. «Ci troviamo di fronte le persone più disparate, dai consoli alle prostitute, dagli amministratori delegati ai detenuti agli arresti domiciliari, e senza alcuna tutela per la nostra sicurezza».
Prima del passaggio a Ipsos, i rilevatori erano supportati dai referenti regionali Istat. Uno per regione e, nelle regioni più popolose, anche più di uno. Dal 2009 in poi, si è passati a soli otto supervisori. «Questo si è tradotto in una notevole difficoltà anche solo a trovare la linea telefonica libera per chi è sul campo e ha necessità di comunicare con loro», raccontano. «E questa difficoltà, chiaramente, è aumentata con lo svolgimento di due indagini anziché una».
Nel tempo, alcuni rilevatori hanno preferito le dimissioni. «Con il passaggio da Istat a Ipsos, alla qualità dei dati si è preferita la quantità», raccontano. «Le famiglie del campione ormai vengono trattate come le pizze! Prima, quando una famiglia tentennava ad accettare l’intervista, si facevano comunque altri tentativi. Ora ci dicono di passare subito alla seconda o terza scelta. Ci chiamano e ci dicono: “Quante famiglie hai fatto?”».
Siamo stati sostituiti da intervistatori provenienti dalle indagini di mercato, soprattutto nelle zone più “appetibili”: quelle nel centro delle città, più facilmente raggiungibili
Ad alcuni rilevatori, anche dopo oltre 15 anni di esperienza sul campo, non è stato neanche rinnovato il contratto. «A seguito di contestazioni disciplinari inesistenti da parte di Ipsos», denunciano alcuni, «siamo stati sostituiti da intervistatori provenienti dalle indagini di mercato, soprattutto nelle zone più “appetibili”: quelle nel centro delle città, più facilmente raggiungibili». E ora in corso ci sono diverse cause di lavoro. Solo in Campania, dei 21 della “vecchia guardia”, ne sono rimasti meno della metà.
Un gruppo di rilevatori la scorsa estate ha scritto una lettera indirizzata al presidente dell’Istat Giorgio Alleva. «A fronte di una rilevazione avviata nel 1959, che dal 2002 ad oggi si svolge incessantemente durante tutti i dodici mesi dell’anno e che per sua stessa definizione ha carattere “continuo”, i rilevatori chiedono che venga finalmente riconosciuta l’effettiva natura del loro lavoro, assolutamente incompatibile con la formula contrattuale dei cocopro», scrivono. Sottolineando anche il paradosso di Istat, «ente pubblico preposto a indagini sociali senza fine di lucro, che appalta alcune delle rilevazioni fondamentali per il Paese, a società private con scopo di lucro, esperte in sondaggi/indagini di mercato».
Senza dimenticare le disfunzioni. «La nostra indagine potrebbe avere maggiore riscontro», commentano i rilevatori. «Incrociando i dati, si possono aggiornare in tempo reale le anagrafi comunali e risparmiare denaro». Non solo: «Entrando direttamente in contatto con le famiglie, potremmo veicolare informazioni legate alle politiche del lavoro, magari spiegando ai disoccupati anche solo come iscriversi ai centri per l’impiego».